I FRATELLI TARCISIO E GIUSEPPE CANTELE VICENZA
Il capostipite della famiglia Cantele, Massimiliano, nacque a Chiuppano in provincia di Vicenza. Dopo la prima guerra mondiale emigrò in Germania e in Australia, ma i tentativi disattesero le speranze di un futuro migliore e dovette ritornare in Italia. In seguito si trasferì a Panama per lavorare alla costruzione del canale, dove contrasse la malaria e dovette emigrare in una zona secca. Fu così che si ritrovò nel nord del Cile, a lavorare nelle miniere di salnitro. Dopo poco tempo, ed in seguito alla morte della figlia minore di cinque anni, decise con la famiglia di trasferirsi nella zona centrale del Cile. Tarcisio ha ricordi molto nitidi e comincia a raccontare: “Mio padre Massimiliano aveva combattuto la prima guerra mondiale come carabiniere ed era stato anche decorato con la medaglia d’oro. Finita la guerra, la situazione non era rosea e decise d’emigrare per cercar il modo di mantenere dignitosamente la moglie Cecilia e i tre bambini piccoli. Io ero il maggiore, poi nacquero Giuseppe e Giovanna. Così mio padre cominciò a girare il mondo dall’Australia fino a Panama per lavorare nella costruzione del Canale. Ma non fu un’esperienza felice, perché contrasse la malaria. Le febbri malariche non gli davano pace e il medico gli consigliò di andare a vivere in un clima secco. Andò nel nord del Cile, precisamente nel deserto di Atacama a lavorare nelle miniere di salnitro. Si trasferì a Pedro de Valdivia una città costruita solo per la miniera. Nel 1936 mio padre scrisse a mia mamma perché lo raggiungesse. Ma, non era proprio come ce l’aspettavamo. Ci sistemammo in una casetta che gli era stata data. A quell’epoca mi ricordo che mio padre prendeva una paga in una moneta coniata dall’impresa Maria Elena solo per il villaggio della miniera: la Ficha. E veniva accettata solo nei locali di proprietà dell’azienda. Ma per spiegare dove eravamo finiti, il deserto di Atacama è il più secco del mondo, dove piove pressappoco solo una volta ogni 5 anni e fa circa 2 millimetri d’acqua. La città più vicina era appunto Antofagasta a 200 chilometri, dove c’è il porto. Per spiegare com’era la nostra vita, basti pensare che eravamo in cinque in una baracca di fango e paglia, in mezzo al deserto, con l’acqua che veniva portata dalle cisterne. In queste condizioni, mia sorella, che aveva poco più di cinque anni, prese il tifo, fu una strage nel villaggio, cinquecento famiglie ebbero delle vittime di tifo e neanche mia sorella fu risparmiata, ma dopo circa un mese di agonia, morì. Fu così che i miei genitori presero la decisione di trasferirsi a Valparaiso. Mio padre non aveva lavoro, ma non si perse d’animo e conobbe un certo signor Orladini che possedeva un fundo a 50 chilometri a sud di Santiago e gli propose di andare a coltivarlo ci avrebbe fatto vivere nella casa che c’era già. A dire il vero fu la mamma che conobbe per prima il signor Orlandini, perché nel periodo in cui mio padre era senza lavoro, lei per “tirare avanti” faceva fiori di carta e li andava a vendere e ne vendette uno proprio a lui. Così cominciarono a parlare e sentendo che il marito cercava lavoro gli offrì di andare ad amministrare il suo fondo. Di lì a poco ci trasferimmo a Champa nella casa all’interno del fondo. Era bella e confortevole, per quegli anni, la fine degli anni ’30. Ci siamo rimasti per quindici anni. Noi ragazzi andavamo a scuola e la mamma faceva la casalinga. Venimmo a studiare a Santiago, eravamo alloggiati in un collegio, dai Salesiani avevamo dodici e quattordici anni. Io studiai meccanica industriale e mio fratello Giuseppe studiò contabilità, ragioneria, fino quasi a 20 anni.
Nel 1948 iniziai, con mio padre, con una piccola azienda, per meglio dire un’officina meccanica la “Maestranza Cantele” a Santiago. Mi ricordo che l’officina era talmente piccola che quando avevamo un pezzo un po’ più lungo del normale, dovevamo aprire la porta della stanza per lavorarlo e usciva sulla strada che era proprio di fronte. Nel 1960 mi sposai con Maria Giuseppina Bertolone ed abbiamo tre figli: Italo, Aldo e Claudio.
Giuseppe racconta. Terminati gli studi venni assunto al Banco Francese e Italiano, era il 1950. Nel 1950 mi licenziai dal posto di lavoro, per iniziare a lavorare per conto proprio e così aiutai Tarcisio nella contabilità dell’azienda. Poi mi sposai con Maria Concepción Cabré il cui padre possedeva un’azienda di cartone con una decina di operai. Fu così che decisi di imparare il mestiere e da lì a pochi anni aprii una mia azienda di cartone con circa una quindicina di operai. Facevo cartoni da imballaggio. Erano glia anni ‘60 e al governo c’era il Presidente Alessandri, di origine italiana, come si intuisce dal cognome. Fu un bravo presidente, a mio avviso, favorì l’imprenditoria.
Chiusi la fabbrica nel 2002, quando cominciai ad avere problemi di salute. Ora vivo tranquillamente con il ricavato dell’azienda.
Non sono mai ritornato in Italia, nel Veneto, il tempo è passato così velocemente! Ho due figli, una femmina Cecilia e un maschio Roberto. Mia figlia Cecilia è andata a visitare l’Italia e le è piaciuta molto.
Poi Tarcisio riprende: Durante il periodo di Allende, dal ‘70 al ‘73 avevamo paura del regime socialista, gli operai facevano sciopero quasi tutti i giorni, espropriavano le proprietà, si impadronivano delle aziende, le occupavano e le gestivano loro. Tutte le aziende che conoscevo io che furono gestite dagli operai fallirono! Lavoravano fino a quando non c’era più materiale e poi chiudevano.
La nostra azienda non venne occupata né espropriata perché era piccola. Avevamo quindici dipendenti.”
Tarcisio è ritornato in Veneto per ritirare, come imprenditore la medaglia d’oro della Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Vicenza, per meriti speciali. È a tutt’oggi l’unico vicentino residente in Cile premiato finora dalla CCIAA. Riteniamo opportuno riportare di seguito la motivazione del riconoscimento.
MERITI SPECIALI
TARCISIO CANTELE
Nato il 25 settembre 1926 a Chiuppano
residente a La Reina – Santiago del Cile
Tarcisio Cantele emigra in Cile, assieme alla mamma e ai fratelli più piccoli, nel 1935 a soli 9 anni, per raggiungere il padre, che lavorava come minatore in una solfatara nell’arido deserto cileno. I primi anni di questa nuova vita sono per la famiglia Cantele di estrema miseria, di grandi sacrifici e di costanti rinunce. Ciò nonostante, con grande coraggio, e lungimiranza, mamma e papà Cantele decidono di separarsi di due figli maschi Tarcisio e Severino e di mandarli a Santiago per studiare, per prepararli ad un futuro migliore.
Sono questi anni di impegno scolastico e di contemporaneo lavoro, che forgiano ancora di più il carattere già determinato di Tarcisio Cantele.
Nel 1948, dopo aver conseguito la laurea, egli inizia a lavorare dapprima come dipendente. Il forte carattere, la volontà di emergere e lo spirito imprenditoriale veneto lo portano ben presto a mettersi in proprio e ad aprire un’officina meccanica, all’inizio di ridottissime dimensioni.
Da allora ad oggi egli è riuscito a raggiungere una importante posizione e una solida reputazione come imprenditore, creando dal nulla tre importanti società, una meccanica, una metalmeccanica e una tessile, che negli anni hanno sempre incrementato il numero degli addetti e l’ammontare del fatturato.
Oggi accanto a queste consolidate attività, con cui egli dà lavoro a numerose maestranze e ai suoi famigliari, Tarcisio Cantele, memore delle sue origini venete contadine, ha dato l’avvio ad un progetto avveniristico.
Acquistati 200 ettari di terreno desertico, egli vi ha portato, con l’aiuto di macchinari da lui ideati e costruiti, l’acqua e la possibilità, in breve tempo, di realizzare coltivazioni agricole, creando ricchezza e vita là dove prima vi era solo deserto.
ITALO CANTELE VICENZA
Già da bambino aveva il pallino per gli affari, infatti, racconta: “Avevo circa otto anni e mio zio possedeva una fabbrica di cartone, quando andavo a trovarlo mi incuriosivano le cataste di carte riciclate. Mi venne un’idea. Cominciai a scegliere tra la carta le foto che mi sembravano più suggestive, quelle di chiese e monumenti europei, le presi, chiaramente di nascosto, e cominciai a venderle appostato sulla strada di fronte all’azienda. Chiedevo un peso l’una. Visto che gli affari andavano bene e avevo molti clienti attorno, chiamai un mio amichetto e gli offrii di lavorare per me. Lui accettò. Il commercio durò per quattro o cinque mesi, prima che mio zio mi scoprisse. Con il ricavato sono riuscito a comperarmi la lampadina per la bicicletta, dopo aver detratto ovviamente la paga del mio “dipendente”!
Ma iniziamo dal principio. Sono nato a Santiago il 25 ottobre 1962. Ho iniziato la scuola dai padri Giuseppini al Murialdo perché il direttore generale padre Italo Sarolo, allora, era nato a Chiuppano, paese d’origine di mio padre e tra di loro c’era una salda amicizia. Poi però terminai i miei studi dai Salesiani. Fui votato anche capoclasse e mi chiamavano Bacicia, termine che qui si usava per apostrofare gli italiani. (Forse perché gli italiani avevano la loro forma o perché erano principalmente gli italiani che vendevano le bacice – arachidi – tostate agli angoli delle strade, fonte orale – Ruth).
Io ero e sono tuttora orgoglioso di essere italiano. Quando mostro i documenti con un cognome solo, mi dicono: italiano vero? E io fieramente dico sì. Infatti, il concetto chiaro del lavoro me l’ha trasmesso sicuramente la mia famiglia. Infatti, l’orario continuato del lavoro e non si usava mai la parola stanchezza. Tutti i fine settimana andavamo dai nonni, che abitavano al primo piano, sotto c’era l’officina meccanica. Il nonno mi raccontava che la prima officina era piccolissima e molte volte dovevano aprire la porta per farci stare i pezzi di ferro. Così dopo un po’ si trasferirono in un luogo più grande. Il nonno comperò 400 metri quadri di terreno e vi costruì il capannone, ma siccome avevano pochi macchinari e si perdevano all’interno, lo divise in due con una parete e così anche con poche macchine il capannone sembrava pieno. Serviva per fare una buona impressione ai clienti che venivano in azienda. Si capiva che era un’azienda florida e piena di macchinari.
Fin da bambino ho sempre sentito mia nonna dire “accidenti alla guerra!” e lo disse fino alla fine dei suoi giorni. Io sono sempre stato molto colpito da questa espressione e dal modo come lo diceva, si capiva che doveva essere stato un avvenimento mostruoso. Anche perché in Cile la guerra non si sa cos’è. Io ho fatto il servizio militare per cinque anni, tutti i sabati e quindici giorni d’estate, come Cavalleria Blindata dell’Esercito Cileno dello Squadrone Motorizzato. Era un gruppo speciale. Eravamo quasi tutti studenti universitari e non si guadagnava niente.
Quando terminai il servizio militare scrissi una lettera al Generale Augusto Pinochet nella quale lo ringraziavo a nome mio e di mio nonno per aver avuto la saggezza e abilità di aver evitato la guerra con l’Argentina. Per me che ho respirato in casa fin da piccolo l’orrore della guerra, nei racconti di mio nonno che è stato un soldato della prima guerra mondiale, la Grande Guerra del ‘15-’18. Combatté, fu ferito e rimase un invalido di guerra e non passava giorno che i nonni non mi raccontassero gli spaventi del conflitto. Ma tornando al Veneto, posso dire che il mio primo contatto vero e proprio con questa regione così lontana, lo ebbi nel 1988, quando Alberto Comunian, presidente dei Veneti in Cile mi contattò per dirmi che c’era la possibilità per i giovani d’origine veneta di andare a visitare il Veneto. Io accettai immediatamente, benché non avessi la minima idea di che cosa si trattava. Eravamo in quattro, io non conoscevo l’italiano, perché mio padre parlava solo il dialetto veneto. Avevo 26 anni. Fu amore a prima vista, con il Veneto. Prima di partire chiesi a mio padre se avevamo parenti. E mi disse che con mio nonno si erano persi i contatti da circa 30 anni e lo stesso per la nonna. Comunque mi disse “noi veniamo da Chiuppano in provincia di Vicenza”. Il soggiorno in Veneto fu fantastico, siamo stati al bellissimo Palazzo Balbi, sede della Giunta regionale, abbiamo assistito alla regata Storica e molto altro. Mi resi conto che qualsiasi località trasudava storia e importanza e cominciai a sentirmi parte del tutto, compresa la preziosa eredità culturale. Fu così che l’ultimo giorno del mio soggiorno in Veneto, gli organizzatori mi chiesero dove dovevano portarmi e io mi feci lasciare in stazione a Vicenza, dove presi la corriera per Chiuppano. Appena salito chiesi gentilmente all’autista di segnalarmi l’arrivo a Chiuppano perché non lo conoscevo. Quando arrivammo, l’autista mi avvertì, e si fermò. Scesi dalla corriera, ero in piazza a Chiuppano. Volevo comperare delle cartoline da portare ai miei, ma chiaramente non sapevo dove andare e, tra l’altro, non c’erano più corriere per tornare indietro e quindi dovevo per forza fermarmi lì fino all’indomani. Entrai nel primo bar, in piazza, vidi degli anziani che stavano giocando a carte e chiesi loro se mi potevano indicare un albergo dove andare a dormire. Con mio immenso stupore mi dissero che non c’era nessun albergo in quella zona e io sinceramente quando mi resi conto cominciai ad avere un po’ di timore. Mi dissero che l’albergo più vicino era a Piovene, a circa un paio chilometri. Avevo la valigia molto pesante. Ma queste persone cominciarono ad incuriosirsi e mi chiesero chi ero. Risposi che ero arrivato fina lì dal Cile perché volevo conoscere il paese dove erano nati mio nonno e mio padre. Mi chiesero allora come mi chiamavo. Io risposi ad alta voce Cantele! Appena udirono il mio nome cominciarono a borbottare tra loro guardandomi con sguardi incuriositi, erano circa una decina. Uno di loro si alzò, si diresse verso il telefono e cominciò a telefonare, mentre gli altri mi accompagnarono fuori del bar. Dopo circa tre minuti arrivò un altro vecchietto, mi scrutò per bene e cominciò ad abbracciarmi, mentre non riusciva a trattenere le lacrime per la commozione e esclamò ad alta voce: Bravo! Bravo! Finalmente te se rivà! Capii immediatamente che era un mio parente, ci abbracciammo, mentre gli altri che ci circondavano si misero a battere le mani. Dopo pochi minuti arrivò un giovane e l’anziano mi disse: “Bacialo che è anche lui uno dei nostri”. L’anziano signore era il cugino di mio padre Gianni Cantele e mi disse: “Questa sera dormirai nella stanza dove è nato tuo padre! Non riesco a trovare le parole per esprimere l’emozione che provai quella notte, mi giravo e rigiravo nel letto tornando indietro con la mente ai tempi di mio nonno e di mio padre. La mattina seguente cominciarono ad arrivare altri parenti. La sera dopo ci trovammo tutti in pizzeria, eravamo circa una quarantina di Cantele che venivano da Chiuppano, Schio e Piovene. La visita alla cittadina che doveva durare per poche ore, si protrasse per 15 giorni. Furono indimenticabili mi trattarono benissimo e lì le mie radici venete cominciarono a riaffiorare con forza e vigore dal terreno che le aveva sommerse per anni. Il giorno della partenza, quando mi accompagnarono alla stazione, la zia Teresa Cantele mi disse: “Ritorna!” Ebbene da allora sono ritornato per ben 25 volte! Ci sono ritornato anche con la mia famiglia, mia moglie Pilar Lamana e i miei due figli, Valentina Sofia e Antonio Massimiliano. Sono sempre stato ospite a casa dei miei cugini. Ora, ogni volta che ritorno in Veneto, mi sento a casa. Per quanto riguarda la mia attività imprenditoriale, commercio macchinari tipo frese, torni ecc. tra l’Italia e il Cile. Non ci sono grosse difficoltà burocratiche. Inoltre come fondatore dell’Associazione Imprenditori Veneti in Cile ho cominciato ad interessarmi al concetto di Distretto Industriale, per vedere se possiamo applicarlo anche qui. Abbiamo cominciato a dialogare con le autorità cilene per capire come introdurre il modello di Distretto Industriale. E mi sembra che l’idea stia interessando. Vediamo un futuro con un interscambio economico, commerciale importante tra Cile e il Veneto, grazie anche alla stabilità economica che il nostro Paese ha acquisito e alla serietà delle origini venete dei nostri imprenditori.”
Tratto dal libro “Destinazione Cile” di Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato ai Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo, in partenariato con l’Associazione Veneta del Cile e l’Associazioni Imprenditori Veneti in Cile. (Tipografia Grafica Corma – Grisignano di Zocco, Vicenza. Maggio 2008)