Ettore Cesaro – TEOLO – Padova
Ettore Cesaro è nato a Teolo, in Provincia di Padova, il 6 giugno 1935. E’ entusiasta di incontrarci. Ha preparato tutto per l’intervista, le fotografie, i documenti e scritto i principali fatti della sua vita. Ci racconta la sua storia.
Mio padre, Basilio Cesaro, sposò Assunta Carpanese, dalla quale ebbe nove figli, tra cui io. La famiglia è di origine veneta, nello specifico di Teolo.
Nel 1938, per effetto della crisi finanziaria iniziata nel 1932 in tutta Europa, la famiglia Cesaro decise di emigrare a Derna, in Africa settentrionale, detta “Cirenaica”, invasa dall’Italia nel 1922. Uno dei miei fratelli morì a Beda-Litoria-Derna all’età di 14 anni.
Com’è facilmente immaginabile, il luogo assegnato alla famiglia Cesaro non presentava alcun tipo di infrastruttura e si dovette iniziare da zero, alla ricerca di una certa stabilità. Tuttavia, nel 1940, con l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, tutte le speranze si troncarono. Mio fratello maggiore fu reclutato e venne spedito al fronte contro l’invasione inglese; cadde prigioniero degli inglesi e venne mandato in Inghilterra. Allo stesso modo il mio secondo fratello combatté sul fronte francese e rimase prigioniero.
Nello stesso anno io, che avevo 5 anni, mio fratello Bruno, che ne aveva 6 e mia sorella Carmela, di 9 anni, fummo rimpatriati in Italia e sistemati separatamente, in colonie differenti. Potete immaginare il dolore e la sofferenza nostri e dei nostri genitori. I miei genitori rimasero in Libia con gli altri miei tre fratelli fino alla fine del 1945, quando fecero ritorno a Napoli, dove morì mio padre. Purtroppo non riusciamo a ricordarlo, poiché siamo stati separati per sette anni.
Dopo la fine della guerra, grazie alla mediazione della Croce Rossa Internazionale e con un duro lavoro di raggruppamento, nel 1947 potemmo riunirci tutti noi fratelli con nostra madre vedova, con la quale rimanemmo ad Aversa (Caserta) fino al maggio del 1949.
Fu una lotta di coraggio e di paura, per sopportare tanti sacrifici e iniziare una nuova vita. In quel momento di certo non immaginavamo cosa ci avrebbe riservato il futuro di lì a poco. Tempi duri quelli della guerra e del dopoguerra, durante l’occupazione dei paesi alleati. Il Piano Marshall degli Stati Uniti risollevò le sorti di tante famiglie europee, incentivando il trasferimento di molte di loro verso paesi sudamericani, per lavorare e contribuire così allo sviluppo di tali paesi.
Nel nostro caso particolare, fummo contattati nel 1949 da una società per azioni italo-peruviana, conosciuta con la sigla SAIPAI S.A., che aveva sede a Venezia, per emigrare in Perù insieme ad altre nove famiglie, tutte numerose e con l’importante precedente di essere stati coloni in Africa.
Il governo peruviano aveva concesso alla SAIPAI S.A. una vasta area nell’inospitale foresta amazzonica, la quale sarebbe divenuta la nostra futura vita. A tale scopo la SAIPAI S.A. organizzò un primo invio di due rappresentanti delle nove famiglie selezionate, che partirono per il Perù nel mese di marzo 1949, allo scopo di localizzare l’area che avremmo dovuto colonizzare e aprire un varco di passaggio nella foresta vergine.
I Cesaro furono la prima famiglia completa ad intraprendere quest’impresa: all’inizio di maggio dello stesso anno partimmo da Napoli, per sbarcare nel porto peruviano di Callao dopo 28 giorni di traversata.
Inizialmente ci fermammo quattro giorni a Lima per sbrigare le pratiche di immigrazione ed effettuare le vaccinazioni necessarie, poi attraversammo le Ande su un camion da carico, diretti verso il nostro destino e la nostra nuova vita.
Entrammo in Amazzonia attraverso Tingo Maria, che allora era una piccola cittadina e che poi si sarebbe trasformata nella base logistica per l’impresa a cui avremmo lavorato.
Da Tingo Maria ci spostammo sulle rive di un grande fiume, il Tulumayo, a 25 km di distanza, dove restammo circa 30 giorni per acclimatarci, per poi proseguire verso il luogo di colonizzazione, che chiamammo Para-Alto, situato a 40 km all’interno della foresta vergine.
Subito provammo un grande sconcerto: il luogo era totalmente disabitato e quasi aggressivo, in quanto la natura ci mostrava il suo massimo splendore, così come i suoi pericoli, e noi non disponevamo né dei mezzi, né dell’esperienza necessari per affrontare una realtà di questo tipo. Dovemmo lottare per superare le avversità e fare di quella terra la nostra casa, riuscendo al contempo a sviluppare un’attività d’impresa.
Furono migliaia le sfide giornaliere che dovemmo affrontare, molte le delusioni, però alle volte anche molta felicità, perché ogni successo ci dava la forza di continuare a conquistare un territorio che sarebbe diventato nostro e che inoltre era l’unica cosa che possedevamo e alla quale potevamo aggrapparci, insieme alle altre famiglie.
La SAIPAI S.A. dovette assumere personale locale che ci affiancasse nel compito di disboscare la densa foresta in cui dovevamo preparare i terreni per costruire le case per le altre famiglie che sarebbero arrivate, così come disboscare vaste aree che sarebbero servite per le coltivazioni.
I coloni inviati potevano contare su persone molto ingegnose, che ci permisero di collocare sul fiume Tulumayo una teleferica di circa 350 metri di lunghezza, costruire ponti metallici, 40 km di strada ferrata, visto che non si poteva trasportare tutto il necessario a Villa Para-Alto, perché non c’era una strada. Data la densità della foresta e il suo difficile terreno paludoso, che non garantiva stabilità per un transito sicuro, si costruì una grande segheria; disponevamo inoltre di tre trattori cingolati portati direttamente dall’Italia dalla SAIPAI S.A. La costruzione di tutte le infrastrutture fu realizzata dagli emigranti e da alcuni “tecnici” che arrivarono insieme ai macchinari citati.
Potrei scendere ulteriormente nei dettagli, ma le parole non sono sufficienti per descrivere i sacrifici, così come la grande esperienza accumulata in quegli anni; tuttavia alla fine vinse la foresta, dimostrandoci che per quanto entusiasmo ci mettessero i Cesaro e le altre famiglie, quello non era il nostro posto.
Questi emigranti colonizzatori così laboriosi, che affrontarono con enormi sacrifici e i necessari sforzi ogni avversità, arrivarono per costruirsi una nuova vita; con il tempo molti sono stati dimenticati, ma tutti i loro successi e le loro conquiste fanno parte della storia del Perù.
Dopo cinque anni trascorsi nella foresta, decidemmo di iniziare una nuova avventura e ci trasferimmo a Lima, completamente privi di risorse. Dal 1954 al 1966 svolgemmo vari mestieri e attività commerciali, fino a quando, accumulato un piccolo capitale, nell’agosto del 1966 i fratelli Cesaro fondarono un’impresa di trasporti specializzata in carichi extra pesanti.
Con il nostro lavoro contribuimmo allo sviluppo del Paese nella costruzione di centrali idroelettriche, oleodotti, peschiere, miniere e molte altre opere, che ci sono state riconosciute dal Perù.
Nel 1994 in qualità di amministratore delegato della Transportes Cesaro Hermanos S.A. fui premiato con la medaglia d’oro della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Padova per aver contribuito come emigranti italiani e veneti alla realizzazione di tante opere in Perù.
Nel novembre 2001 la Transportes Cesaro Hermanos S.A. vinse il primo premio, per la categoria dei trasporti, in un concorso di creatività imprenditoriale promosso dall’Università Peruviana di Scienze Applicate (UPC), ricevendo un diploma e un trofeo di alto valore imprenditoriale, che ci riempie di orgoglio in qualità di veneti.
Tutto ciò che vissi da bambino durante la guerra, il dopoguerra e l’immigrazione nella foresta peruviana rimane vivo dentro di me e mi è sempre servito per non smettere mai di lottare.
Ho 74 anni, mi sento realizzato, sono riuscito a fare molte cose nella mia vita e sono felice di avere come moglie una bella donna peruviana, Gloria de la Jara, che mi ha dato tre figli: Carla (41 anni) sposata con Domenico Greco, con una figlia Lara (4 anni); Giuliana (39 anni) sposata con Juan Jose Ribes, con tre figli: Daniela (19 anni), Mateo (6 anni) e Diego (3 anni); Roberto (32 anni) con Vanessa Perez, con un figlio Zion (6 anni).
Oggi mi sento molto identificato con questo paese”.
Tratto dal libro “Destinazione Perù” degli autori Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo (Camisano Vicentino (Vicenza), Tipografia Ga.Bo, Marzo 2010).