ALCIDE ZAS FRIZ – VALLE AGORDINA – BELLUNO
Retro di copertina del libro CAMMINO SULLE ANDE, racconti di un minatore veneto sulla Cordigliera scritto e pubblicato nel 2004 da Alcide Zas Friz.
Alcide Zas Friz, certo che con un nome così particolare deve sicuramente aver avuto una vita avventurosa ed importante. Infatti, andiamo ad intervistarlo nella sua casa di La Valle Agordina.
Ci accoglie nell’“ufficio”, attiguo alla sua abitazione, dove ci sono moltissimi libri, suppellettili, ricordi di vario tipo, quadretti, dipinti, una collezione di gufi. Insomma c’è di tutto. Qui Alcide è nel suo mondo. Quando si chiude la porta e iniziamo a parlare con lui ci si dimentica che fuori la temperatura, quella mattina di gennaio, è di meno cinque gradi e che la neve ricopre tutto con quasi mezzo metro di spessore. Si siede alla scrivania e noi, accompagnati dall’amico Giuliano Dal Mas, ci accomodiamo davanti a lui, come studenti attenti al racconto delle sue avventure sulla Cordigliera. Innanzitutto ci omaggia di alcune sue pubblicazioni. E ci dice che è già pronto per la stampa con altri due libri che riguardano uno le tradizioni di La Valle Agordina e gli agordini ed il secondo ha una serie di racconti che riguardano la sua vita. Ci dice che ha pubblicato sette libri finora.
“Innanzitutto nella vita non bisogna avere nostalgia, perché ti distrugge psicologicamente.” Dichiara “Si deve dire che il periodo trascorso è stato bello e come tutte le esperienze ha dei lati positivi e quelli negativi, ma è trascorso. Ho tantissimi ricordi, che ho messo nero su bianco nei miei libri. Il momento più emozionante fu quando in Perù arrivai a piedi su un ghiacciaio a 5300 metri. Ti senti in cima al mondo, tu e la natura. L’emozione è indescrivibile. Lì vicino avevo scoperto un affioramento di rame. Si vede il colore giallo, rosso e verde. Abbiamo trovato un filone di Calcopirite. Le Ande sono immense, non finiscono più mentre le Dolomiti sono uniche. Le Ande mi rimarranno per sempre nel cuore. Ho trascorso metà vita sulle Ande e metà a La Valle. So che non sarei rimasto per sempre in Perù. Quando mio figlio Rossano, che è Padre Gesuita, andò a Roma per il dottorato in teologia e rimase in Italia, abbiamo preso l’occasione per ritornare definitivamente.
Le persone che vivono sulle Ande, i nativi, sono persone gentili, mi sento di ringraziarli, mi hanno sempre trattato bene.” Chiedo quello che non ha mai cambiato durante la sua vita e mi risponde: “il dialetto di La Valle Agordina. Non l’ho mai dimenticato anche a casa con mia moglie Bianca De Col, mia figlia Marella, nata nel 1960 e mio figlio Rossano nato nel 1955, abbiamo sempre parlato in dialetto. Lo spirito minerario che abbiamo dentro noi agordini che abbiamo frequentato l’Istituto Tecnico Minerario Umberto Follador non ti abbandona mai. Mi ricordo che andavo a scuola alle otto del mattino ad Agordo, ritornavo a casa per il pranzo e poi di nuovo a scuola fino alle quattro del pomeriggio. Quattro volte la strada a piedi, 12 chilometri al giorno. E ti sentivi di imparare qualcosa di importante. Oggigiorno mi sembra che lo spirito della miniera non sia più così presente.” Alcide ha scritto un libro molto ricco di particolari che racconta la sua esperienza sulla Cordigliera e ci dice di estrapolare alcune parti.
Alcide durante la sua vita sulla “Cordigliera”, ha iniziato ad appassionarsi la gioco del golf. Lo ha praticato con successo sia in Perù che in Italia, al Cansiglio Golf Club.
Iniziamo con LA PARTENZA
Nevicava, quel pomeriggio d’inverno del giovedì 31 gennaio 1952. Quando abbandonai il paese per emigrare in America Latina. Ricordo che abbracciai la mamma e lei, tra i singhiozzi, mi diede le ultime raccomandazioni e mentre le sue lacrime mi bagnavano il viso, mi benedisse. Piansi, piansi molto, poi un addio al vecchio campanile, alla fontana e alla piazza coperta di neve, dove sono custoditi i ricordi della mia infanzia e gioventù. Assieme al padre e ai fratelli mi avviai alla stazione ferroviaria di Agordo, la valigia portata nella gerla da mia sorella Caterina.
Camminando, le parole fuggivano, non trovavano spazio per esprimere il dolore che aumentava con l’avvicinarsi alla stazione. Solo si udiva ogni tanto lo scricchiolio della gerla, quasi fosse cosciente dell’inconsueto carico che ospitava.
Avevo viaggiato tante volte da militare nel trenino, e lo trovavo simpatico, allegro e colorito. Oggi, invece, avvolto nel nevischio, lo trovo sobrio, triste, rispettoso, col suo silenzio, del pianto di chi parte e che forse non ritornerà più.
Il capostazione fischia una prima volta, annunciando la prossima partenza del treno. In fretta gli ultimi saluti, abbracci che sembrano eterni nel ricordo e nell’affetto, poi, pian piano, il treno parte e senti che i tuoi legami con la famiglia e le cose che più hai amato sono rimaste là con i tuoi familiari, che sventolano tristi un fazzoletto bianco, mentre la neve, ancor più silenziosa, cade senza fretta. Sei solo, spaurito, piangi per tutto quello che hai lasciato là alla stazione, oramai lontana dagli occhi, e per la paura del nuovo che il destino ti riserverà. … All’alba, ecco Genova, bella, imponente ed austera. Il porto mi appare grande, immenso, come lo è il mare … Il pomeriggio lo dedico a sbrigare tutte le pratiche presso gli uffici della società di navigazione Italia. Ci sono tanti certificati da registrare, allora indispensabili per poter viaggiare: di non accattonaggio, di buona condotta morale, di buona condotta politica dove sta scritto che “lo stesso non ha mai appartenuto né appartiene a partiti politici tendenti a sovvertire l’ordine sociale”, certificato penale, di buona salute, di vaccinazione e altri ancora …
PERÙ TANTO SOGNATO
Finalmente sono in terra peruviana, c’è molta confusione sulla banchina, continuo a guardare nella speranza di trovare qualcuno che mi cerchi: invano. Vado alla dogana a ritirare la valigia e mi ritrovo con gli amici zoldani. È già notte quando posso partire in taxi per Lima (che dista 11 km dal porto di Callao) … Partiamo la strada è ancora più stretta. Passando i 4.000 metri, questa volta non provo malessere e finalmente, dopo alte due ora d’angoscia e di paura, arriviamo a Pasacancha a 3.100 metri d’altitudine. Ringrazio di cuore l’autista, con tanto entusiasmo come fosse il mio salvatore. Sporco, con la barba lunga di quattro giorni di viaggio, mi presento al sig. De Col che, viste le mie condizioni igieniche, subito mi fa accompagnare all’Hotel dove alloggiano gli scapoli. Hotel … per modo di dire. Ci sono delle stanze francescanamente arredate e bagni in comune, una sala da pranzo fredda e una cucina affumicata. Se devo dire proprio il vero, la mia impressione non è negativa, pensando a tutto quello che ho visto e passato durante il viaggio da Lima.
Oggi, 18 marzo 1952, arrivo a destinazione sulla Cordigliera Bianca. Ho concluso il mio viaggio cominciato il 31 gennaio 1952 a La Valle Agordina, nel cuore delle Dolomiti bellunesi, un giovedì d’inverno, sotto la neve che cadeva silenziosa e triste per confondere le lacrime di dolore della partenza.
PASACANCHA La miniera e la foglia di coca
La nostra miniera è come tutte quelle dell’universo: oscurità, tristezza, polvere di silice sospesa che aggredisce, umidità che logora, andare e venire di vagoni carichi di minerale, il rumore picchiettante della perforatrice e il fragore violento dei colpi delle volate: è un luogo dove la gente lavora, lotta in condizioni inumane contro la natura, per guadagnarsi un pane duro e amaro … Gli operai vengono da lontano arrivano nel mese di novembre, dopo aver seminato i loro campi, e lavorano fino a maggio, quando si licenziano dal lavoro per andare a fare il raccolto; riposano due, tre mesi e dopo ritornano alla miniera. Vi è poi una categoria di operai che lavorano con ingaggio, vale a dire: la società presta denaro a dei commercianti, i quali consegnano agli operai un acconto in contanti e parte in viveri che si portano alla miniera; lavorano fino a quando hanno pagato il loro debito, poi si licenziano. Si riposano qualche mese. E dopo ripetono la stessa trafila … una cosa che mi ha colpito è il magazzino della coca, una stanza piena di sacchi di foglia e, su ogni collo c’è scritto monopolio della coca. L’addetto mi ha spiegato che è l’articolo più venduto. Ho creduto solo dopo aver conosciuto bene la miniera e gli operai. Il commercio della foglia di coca, per la sua importanza fiscale è gestito dallo stato attraverso il monopolio. La vendita è libera in qualsiasi bottega. Tutti i nativi masticano coca, sia uomini che donne. La scelta delle foglie da masticare è fatta con minuziosa perizia. Gli indigeni si siedono per terra, stendono fra le gambe il poncho, dispongono sopra le foglie di coca, e fanno la selezione: separano quelle con macchie nere, gli steli ed altro che non sia foglia. Mescolano gli scarti delle foglie e degli steli e stendono il tutto sul poncho: dalla figura che ne esce sono capaci di predire il futuro della giornata. Ci credono e l’interpretazione è un segreto tramandato che solo loro conoscono. La porzione di foglie di coca, scelta per la giornata, è messa in una piccola saccoccia di cuoio. Mentre masticano le foglie, aggiungono calce viva, che loro stessi preparano, facendo cuocere sul carbone rovente conchiglie di mare. La quantità di calce necessaria per la giornata viene custodita in un contenitore ricavato da una piccola zucca ornamentale essiccata e svuotata, grande come una pera chiamata checo. Nella parte del gambo praticano un foro di un centimetro, dove caricano la calce. Il tappo di corna d’animale, artisticamente lavorato, porta un ago di filo d’acciaio della lunghezza di sette centimetri circa. Collocato il tappo con l’ago inumidito, la calce che aderisce è introdotta in bocca. Ripetono l’operazione mentre masticano , fino a raggiungere l’effetto desiderato. La foglia della coca masticata sola non produce alcun effetto stupefacente, anzi come infusione è molto usata per il mal di montagna. Invece, con l’aggiunta di calce e saliva, si forma il cloridato di cocaina. Al mattino, prima dell’entrata in miniera, i lavoratori locali sono sul piazzale, in silenzio, ad armar al bolo, a prepararsi la carica di coca…
ARRIVA IL RICONOSCIMENTO
Finalmente un lunedì mattino il signor De Col ed io, dopo una piccola colazione a Tarica, inforchiamo i cavalli e partiamo per Potrero … un breve colloquio di saluto con il caposquadra ed entriamo in galleria in profondo silenzio. Nessuno parla. Il sig. De Col osserva, scruta, picchia qua, picchia là con il suo martello sulle pareti della galleria. Arrivati sul fronte, quando vede la Calcopirite, rimane colpito. Muove la testa come meravigliato, ma non dice neanche una sillaba.
Ritornati a giorno, con la faccia sorridente mi dice: “Complimenti, la verità è che non avrei mai creduto, né mai pensato, di trovare in questa zona una così bella formazione di minerale di Rame. Finalmente potevo tirare un profondo sospiro e stare tranquillo. Nello scendere a valle, tutto è allegria. Per sua iniziativa parliamo di nuovi programmi di lavoro e del futuro della miniera. Per me è una delle più belle soddisfazioni della mia vita professionale … .
VIAGGIO A CAVALLO
… Una volta completati gli inventari verso la fine di gennaio don Giacomo m’avvisa che dobbiamo assentarci una settimana, per andare a visitare delle miniere nella zona di Cabana e Pallasca … dopo la partenza di Giacomo, finalmente posso visitare il porto (Chimbote). Sulla via principale vedo scritto “Gelateria Venezia”. Entro, mi presento, capisco che il gestore è veneto, così parliamo in dialetto. Mi spiega che lui e la moglie vengo da Feltre e che si chiama Gino Cecchet… .
CAPPELLA E CINEMA
Tra le costruzioni in Pasacancha, c’è un ostello che dovrebbe servire per i passeggeri che arrivano o che partono per la costa. Succede che per ordine del giudice, è sempre chiuso per ragioni di proprietà. Le spose dei lavoratori hanno collocato una statua della Vergine di Fatima, sempre ben adorna di fiori di montagna, nell’atrio – se così si può chiamare – dove vanno a pregare una volta la settimana. Ogni mese viene un signore ambulante dalla costa per proiettare un film, e per questo devono servirsi del salone che è la cappella destinata alla Madonna. Per rispetto e fede le donne, all’arrivo dell’operatore del cinema, in fretta tirano fuori la statua della Vergine, lasciandola per tutta la notte alle intemperie e, sistemano la sala per la proiezione.
Venuto a conoscenza del fatto, invito il gruppo di fedeli e faccio la seguente proposta: – Se mi aiutate, se tutti volontariamente collaborano nella costruzione, io chiedo l’autorizzazione alla Società per costruire una Cappella dedicata alla Vergine di Fatima. Accettano la proposta. Io ottengo il permesso dei superiori e così si edifica la piccola cappella di stile alpino, con una graziosa campana. Si inaugura nel 1955 con il concorso di tutta la gente del luogo; benedice il parroco di Pomabamba; mia moglie Bianca ed io siamo madrina e padrino. Dopo la benedizione della Cappella, in processione, con banda musicale, viene traslocata la statua della Madonna, dal luogo provvisorio all’altare, con tutti gli onori … nel 1980 ritornai a Pasacancha, e mi fece molto piacere vedere la chiesa ancora ben tenuta, dove riposeranno custoditi per sempre i miei ricordi.
MATRIMONIO E VACANZE A LIMA
… C’informiamo che la nave è già arrivata, ma che deve aspettare il turno per ancorare sul molo. Una giornata di ricordi al porto, ansia e gioia come il giorno in cui arrivai. Tutto è uguale: navi, gente, ululare di sirene, ed io sono ansioso di ricevere la mia fidanzata. Alle cinque del pomeriggio ecco che la nave rimorchiata attracca alla banchina. Momento emozionante: c’è tante gente come me ansiosa, gli occhi fissi a scrutare la nave, cercando di individuare la persona cara. Finalmente su in alto, tra i passeggeri di prima classe, vedo Bianca con la sua caratteristica capigliatura castana al vento. Mio cognato invece piange d’emozione. Momenti eterni, immagini commoventi e tutto quello che vedi non lo dimenticherai mai, per il resto della vita … accompagnato dal mio padrino, entro in chiesa e aspettiamo. I dodici invitati erano presenti. Sono mogli e figli di paesani e due uomini: Enrico e mio cognato. La sposa entra con la madrina, e l’organo ancora non si fa sentire. Banca è già vicino a me, quando si fa presente il sacrestano e ci chiede: – A che ora arriva la sposa? Alla risposta che noi siamo gli sposi, avverte senza indugio l’organista che subito suona la marcia nuziale. Sono abituati a vedere entrare lo sposo in smoking, la sposa in bianco con lo strascico, al braccio della madrina e la chiesa gremita di persone. Non sono informati che gli sposi sono emigranti senza casa e senza tetto, con pochi soldi, tante speranze e coraggio che avanza …
AVEVAMO ANCHE I RADICCHI TREVISANI
… Il 1956 è l’ultimo giorno passato a Pasacancha, ed è stato forse il migliore, sia in famiglia, perché allietata dalla presenza del bambino, sia sul lavoro, perché si sono raccolti i frutti dei grandi sacrifici degli anni precedenti. Nel nostro orto i radicchi trevisani crescono abbastanza bene, però le foglie, invece di crescere in verticale, strisciano sul terreno. Pensiamo sia a causa dell’altitudine (3.100m.). I gerani rossi attorno alla casa sono sempre in fiore. Il profumo degli eucalipti perdura giorno e notte, le galline beccano tranquillamente sul prato, mentre i tacchini si rincorrono. Viviamo nella nostra casa in modo semplice con usanze frutto delle memorie paesane …
RITORNO IN PATRIA
I lavori riprenderanno nel gennaio del 1964. Pertanto mi concedono due mesi di vacanza, sufficienti per far ritorno in Patria, dopo undici anni di lontananza. La moglie, i figli ed io, la famiglia al completo, partiamo il primo luglio dal nuovo aeroporto del Callao. Per la prima volta viaggiamo su un aereo a reazione con la KLM. L’emozione è doppia: per il viaggio e per rivedere i genitori, i parenti, gli amici e le care montagne … Ecco le Alpi, il Mar Mediterraneo, Genova e finalmente Milano. All’aeroporto di Linate, mi sta aspettando mio fratello con la macchina: ancora emozioni. I bambini sono stanchi e irrequieti; il viaggio e il cambio di clima sicuramente hanno influito al punto che, entrati in macchina, si addormentano.
Si parte nel tardo pomeriggio e sicuramente si arriverà in paese nella notte. Non ho occhi per guardare il paesaggio. Cresce in me l’emozione di avvicinarmi alle mie montagne. Finalmente in una località del Veneto ci fermiamo in un bar, per prendere qualcosa; nel sentir parlare veneto, mentre bevo n’ombra, mi cadono le lacrime dall’emozione. Quando mangio un panino con la sopresa, quei tipici sapori dei salumi di casa, per tanti anni nascostamente sognati, aumentano l’ansia di arrivare al più presto al paese. Ecco che raggiungiamo le nostre Prealpi, mentre scende la notte. Non ci fermiamo più. Finalmente la valle del Cordevole. Ci sono ancora le rotaie sul terreno, ma del mio caro e simpatico trenino verde rimane solo il ricordo. La Stanga, tipico e rinomato ristorante, La Val de Piero superba e minacciosa, Val Crusa… i ricordi s’intrecciano … rivedo le mie lacrime che si unirono alle acque della valle, il giorno della partenza.
Oggi invece il luogo mi annuncia che sto entrando nel mio paese. Ecco la Muda, il primo villaggio del Comune, annidato nella valle profonda del Cordevole, poche case disordinatamente ordinate sul dorso del monte. Qua affiorano altri vecchi ricordi di quando, ragazzo, per la prima volta montai in treno, e venni col Parroco e il sacrestano a benedire le case nel tempo pasquale.
Il sasso di San Martino, il ponte dei Castei, poi le Campe, Ponte Alto e finalmente Agordo. Ecco il bivio sulla destra della strada che porta a La Valle, il Cristo di legno: è ancora là al suo posto, ci dà il benvenuto e sicuramente anche la benedizione.
Cerco di svegliare i bambini, ma sono troppo stanchi. Nessuno parla, l’emozione non permette di distrarsi. Alla vista del campanile, sento che Bianca piange. Spontaneo il contagio. Un pianto indescrivibile che affoga quello della tristezza e dà sfogo alla gioia.
Sulla piazza della chiesa, l’auto si ferma davanti alla casa paterna, dove mamma e papà sono attenti a riceverci in questo luogo pieno di ricordi. Non ci sono parole. L’emozione è tanto forte che tutto si svolge in silenzio e nel pianto, tra abbracci affettuosi, interminabili. Dal campanile si odono i rintocchi della mezzanotte, come una volta, uguale, lo stesso suono, l’identica allegria…
Tratto dal libro “Destinazione Perù” degli autori Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo (Camisano Vicentino (Vicenza), Tipografia Ga.Bo, Marzo 2010).