DON GIUSEPPE TOMMASI – VICENZA
Padre Giuseppe Tommasi, di origine vicentina, nato precisamente a Tezze di Arzignano nel 1940, ha una vitalità sorprendente. Siamo nell’inverno di Santiago, quando lo incontriamo, e il freddo si sente. Arriva di corsa, dicendoci di aver appena percorso cinque chilometri: “Sapete, dice, dopo sto seduto tutto il giorno e la mattina devo sgranchirmi le gambe!” Ci fa entrare e accomodare nel classico ufficio di un giornalista, con carte, fogli, giornali e libri dappertutto. Ci facciamo spazio tra i documenti e incominciamo a chiacchierare. Consulta un grosso dizionario per dirci i cognomi dei veneti in Cile. Ma, precisa, che in quel grosso libro sono presenti sono i nomi delle famiglie che erano disposte a pagare per comparire, quindi non è totalmente attendibile. È il Dizionario Biografico De Cile. Impresa periodistica in Cile. Infatti, padre Giuseppe è il direttore del giornale Presenza e tratta l’argomento “cultura” con passione e dedizione. “È uno dei fondamenti della cultura, la religione” ci dice, “intendo i modi di comportamento che la persona porta con sé quando emigra, dice, uno degli elementi è la religione. Ci si porta dietro la religione del paese d’origine. Ad esempio ricordare anche all’estero il patrono del proprio paese è importante. Di solito ci si riunisce, quando c’è la ricorrenza del patrono. Per sentire bene il polso della religione nello spirito italiano bisogna considerare innanzitutto le feste religiose e come vengono tenute in considerazione.
I concetti, o per meglio dire i valori che sono più importanti, si possono considerare: il lavoro, la famiglia, la religione e la patria. Più che una fede, in senso teologico, è una fede di carattere popolare, quella che l’emigrante si porta dentro. E unisce le persone. C’è stato un periodo che veniva scalzata, mentre ora mi accorgo che sta tornando ad occupare il suo posto. Per spiegarmi meglio, posso fare un esempio, mia madre non ha mai letto il Vangelo eppure aveva una fede molto solida. Soprattutto gli emigranti veneti sono molto legati “al campanile”. I figli degli emigranti, da giovani, non sentono così forte la religione come i genitori, ma quando arrivano ai quarant’anni, si rendono conto dell’importanza della fede e della religione. Quando facevano catechismo erano distratti e pensavano solo a farsi dispetti, tirandosi i gessetti e ora, quarantenni, rispuntano in parrocchia e sono devoti. Ma tornando alla cultura, il periodico Presenza, che dirigo, è stampato in tre mila copie e distribuito in tutto il Cile alla comunità italiana. Questo periodico ha trentasette anni di vita e da quindici viene spedito per posta. Lo mandiamo anche gratis, se una persona non può permettersi di pagare la quota, c’è sempre un benefattore che ci pensa. Attraverso le pagine di questa testata vogliamo mantenere e trasmettere i valori culturali. Il più grande regalo che l’Italia può dare ai suoi emigrati sparsi per il mondo è la cultura italiana, ricompensiamo così chi ci ha aperto le braccia.
Io sono dell’ordine degli Scalabriniani. Compresi che quella era la mia strada, leggendo le gesta di Monsignor Scalabrini. Mentre visitava le parrocchie, si rese conto che le persone diminuivano, in poche parole, emigravano. Così andò pure lui a Genova, porto da dove partivano gli emigranti. Leggendo le lettere che arrivavano dagli emigranti ai parenti, soprattutto dall’America Latina, capì che queste povere persone, venivano lasciate allo sbando, nel nuovo mondo, nelle lettere che inviavano, richiedevano sacerdoti e raccontavano che gli emigranti italiani e soprattutto veneti venivano lasciati morire come bestie. Don Scalabrini, vescovo di Piacenza, prese a cuore la faccenda fondando una congregazione di preti, e s’impegnò in prima persona. Era il 1887. Oggi siamo in 700 in tutto il mondo. Io, mi sento profondamente scalabriniano perché ho sposato e apprezzato in pieno gli ideali del fondatore. Dare conforto e aiuto agli emigranti. Ma se devo essere sincero, tutto cominciò durante la mia adolescenza. Infatti, quando avevo quindici anni, mio fratello emigrò in Australia per lavorare la canna da zucchero ed io ero convinto che in quel paese lontano qualcuno si sarebbe preso cura di lui. Furono gli scalabriniani. Allora realizzai ancora di più l’importanza dei valori di questi preti. L’emigrante deve essere seguito da chi lo aiuta a portare avanti i nostri valori. Sono veramente contento e convinto della scelta che ho fatto. Sono emigrato nel 1967 e sono sempre rimasto in America Latina. Ho trascorso ventidue anni in Cile. Sono sempre stato di buon umore, come ora, perché ho un’immensa fiducia e credo che in un futuro migliore.
Parlando della mia professione, come direttore del giornale Presenza, posso dire che non ho fatto studi specifici. Ho cominciato in Argentina, dove si stampava un periodico: Il Corriere degli Italiani. Usciva tre volte la settimana ed aveva dodici pagine in totale. Avevano bisogno di una persona che si occupasse della cultura italiana, e il proprietario, Ortolani, aveva contattato Gianni Raso (che ora è direttore di Rai International per l’America Latina) corrispondente dall’Uruguay. Lui fece il mio nome, come giornalista. Io accettai. Facevo il corrispondente da Montevideo. Scrivevo della vita italiana, Cronaca di Montevideo, mi occupavo solo degli italiani. Sono andato avanti per un anno, fino a quando i miei superiori religiosi si accorsero delle mie doti come giornalista e mi mandarono in Cile perché era appena nato il periodico Presenza (1969) che usciva, quando c’era carta. Il suo fondatore fu Padre De Gaudenzi. Cominciò come un giornale umile. Io lo trasformai in un mensile, dal 1975. Dopo due anni, nel ‘77 diventò quindicinale. Pensai che se il periodo tra un’uscita e l’altra era troppo lungo, si poteva affievolire il dialogo con il lettore.
Pubblichiamo circa 3800 copie del giornale Presenza edito dalla Parrocchia Italiana e sfogliando le pagine del giornale, si trova un settore dedi
cato alla cronaca italiana. L’Italia che si trasforma. Prendiamo pari passo quello che succede. Cerco di essere positivo. Tralascio il torbido.
Mi piace il sociologo Alberoni, perché analizza i cambiamenti della società italiana. C’è spazio per la politica, lo sport, la società, l’economia e la religione. Scrivo la notizia e poi esprimo la mia opinione. Una rubrica molto seguita è Lettere al Direttore, dove io ascolto i lettori e rispondo con il mio parere. Mi occupo di problemi reali. Ad esempio qui in Cile ci sono circa 700 persone che percepiscono la pensione dall’Italia. Quando hanno cambiato il sistema di distribuzione dei soldi, c’è stato un po’ di malumore perché ha creato dei disguidi e allora me ne sono occupato sul giornale.
Un passo importante per i veneti residenti qui è stato la nascita dell’associazione dei Veneti in Cile. La sede era in parrocchia. Avevamo la nostra segreteria, io ho sempre ritenuto importante un punto di aggregazione e dialogo e per questo ho dato la mia totale disponibilità. È fondamentale che ci sia l’integrazione dei veneti in Cile, non l’assimilazione. Noi veneti sappiamo bene da dove veniamo, chi siamo e chi vogliamo essere.”
Tratto dal libro “Destinazione Cile” di Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato ai Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo, in partenariato con l’Associazione Veneta del Cile e l’Associazioni Imprenditori Veneti in Cile. (Tipografia Grafica Corma – Grisignano di Zocco, Vicenza. Maggio 2008)