PAOLO CESTONARO – PADOVA
“Prima di tutto mi presento: mi chiamo Paolo Cestonaro, sono nato a Grossa di Gazzo, in provincia di Padova nel 1942, e sono stato ordinato sacerdote dei Giuseppini del Murialdo nel 1970, proprio a Monte Berico. Dopo una presenza di trent’anni in Spagna, mi é stato chiesto dai miei superiori di partire per il Cile. La mia attività in questi anni si era svolta nel campo dell’educazione e della formazione dei giovani nei primi sedici anni e negli ultimi quattordici nella periferia di Madrid in un insediamento tra quattro mila zingari e una popolazione afflitta dalla droga, dove ho vissuto delle esperienze impattanti che hanno segnato una svolta nella mia vita a favore dei poveri.
Poi sono finito in Cile perché aveva bisogno di aiuti e i miei superiori pensarono che potevo mettere a disposizione di questa gente la mia esperienza di Madrid. E così sono giunto il 3 dicembre 1997 a La Reina (Santiago). Non trovai precisamente le catapecchie di quella periferia di Madrid e nemmeno l’eroina che mieteva i “miei giovani di Madrid” o che li faceva finire nelle carceri di quella capitale, però rimasi fortemente colpito dalla differenza sociale tra ricchi e poveri, qualcosa che mi ferisce ancora e a cui non finisco mai di abituarmi. È come un fenomeno accettato e consumato. Trovo un povero rassegnato, abituato a vivere così, senza una voglia di uscirne, con un ricco generoso, ma distante. Aiuta il povero, ma non lo promuove, non ne accetta la vicinanza.
Il mio sguardo non é quello dell’emigrante che fatica per l’inserimento. Come sacerdote, sono subito accolto con festa, più come un personaggio che come persona, riverito ed investito di autorità. Provo un certo disagio e l’affronto. Comincio a parlare con la gente e vedo un buon nucleo di persone che ascoltano volentieri le mie proposte: perché non facciamo qualcosa per i poveri, per i ragazzi soprattutto? Ci lavoriamo su un anno, eravamo una trentina di volontari e il 5 gennaio 1999 partiamo con la prima casa-famiglia. Una coppia di sposi accoglie uno, due cinque bambini in affido. Nell’agosto di quello stesso anno apriamo un centro comunitario, un doposcuola per ragazzi a rischio. Sono venti, trenta, quaranta. Lo chiamiamo N.A.R. Niños y Adolescentes en Riesgo. La parrocchia sostiene economicamente. Non riusciamo ad intenderci con gli enti pubblici, troppo burocratizzati e poco interessati ad aiutarci. La cosa più bella é che dopo nove anni le iniziative continuano. Si prolungano le azioni con le famiglie di questi ragazzi. Si crea il micro-credito per aiutare queste famiglie a uscire dalla povertà. Strada difficile perché esige un cambio di mentalità, volerne uscire. Qualcuno ci riesce. La maggioranza continua a presentarsi ogni mese per ricevere la borsa di alimenti. L’accoglienza della gente é buona. Il Cile ha una canzone significativa che cantiamo spesso. Finisce cosí: “… y verás cómo quieren en Chile, al amigo cuando es forastero”. E non dimentichiamo le nostre vecchie canzoni venete quando ci ritroviamo in buona compagnia: “Quel mazzolin di fiori, Vecchio scarpone, La Valsugana.” E ritornano i ricordi, le persone care. Il Veneto rimane nel cuore, ma con grande rispetto verso il caro Cile. Ogni tanto ritrovo qualche italiano, qualche trentino, o bresciano o discendenti di italiani e scambiamo qualche parola in dialetto. Le vicine Ande ci ricordano le nostre montagne che abbiamo percorso e non nego che sento un po’ di nostalgia, ma la gente ti avvolge con l’affetto e ti riconduce a questa bella terra cilena. Ci sarebbero tanti aneddoti da raccontare. Ricordo che nei primi mesi mi venne a visitare una giovane donna. L’ascolto e mi racconta che é felice perché l’uomo con cui ora convive non la picchia come l’altro. Capisco che sia felice, ma non riesco a capire perché la dovrebbe picchiare. E poi gli orari. Le sette di sera sono pressappoco le sette. Si protrae fino alle otto o nove, innocentemente. E il prestito di soldi che hai fatto con l’impegno di restituire, molto probabilmente l’hai perso. O devi insistere. E sei importuno se insisti. Ma sono piccole cose. La bellezza sta nell’animo di questa gente che non fa tanto rumore, ma che vuol bene davvero. E per concludere posso dire che: sento che non sono un emigrante, ma mi definisco italo-veneto-cileno.”
Tratto dal libro “Destinazione Cile” di Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato ai Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo, in partenariato con l’Associazione Veneta del Cile e l’Associazioni Imprenditori Veneti in Cile. (Tipografia Grafica Corma – Grisignano di Zocco, Vicenza. Maggio 2008)