GIORGIO AGOSTINI – VENEZIA
Giorgio Agostini ci mette subito a nostro agio ricevendoci nel suo elegante studio con maniere affabili. Disponibile, socievole, probabilmente fa parte del suo essere, incarnato nel suo lavoro. Infatti, sul risvolto di copertina del suo libro dal titolo, No quiero casarme, che ci regala, si legge sinteticamente: Giorgio Agostini, cileno, nato a Venezia, è dottore in Psicologia Sociale e master in Sociologia, specialista in terapia clinica delle coppie, perito giudiziario e ecclesiastico. Sposato con (Consuelo Gonzales Reyes) una Consigliera Familiare ed hanno tre figli.
Inizia a raccontarci in un italiano fluido e suadente.
“Mio padre Nicola aveva tre figli maschi e da Venezia siamo sfollati a San Pietro in Gu. Era durante la Seconda Guerra Mondiale, nel ‘42. Siamo sempre stati molto legati. Mi ricordo che dormivamo vestiti, ma senza scarpe, che mettevamo ogni volta che suonava l’allarme. Non dovevamo assolutamente accendere le luci, ma aprire le finestre altrimenti il rumore delle bombe avrebbe rotto i vetri. Data l’esperienza del conflitto, che ci ha lasciato dei ricordi profondi e indelebili, mio padre, pian piano, maturò la decisione di emigrare nel paese più lontano possibile e con le montagne più alte, così disse, per non farci più rivivere gli orrori di un’altra guerra. Si sentiva la possibilità nell’aria di un nuovo conflitto, la situazione non dava sicurezza, certezza e tranquillità, in Italia. Non scorderò mai, quando i comunisti presero il Ponte di Rialto nel ‘48, per la prima volta vidi qualcosa di terribile. Poi rimasi sconvolto, quando vidi le foto esposte in Piazza San Marco degli ebrei, o quando vidi uccidere a sangue freddo un disertore, e non capivo perché quando passavano le SS tutti tremavano. La frase che mi impressionò di più fu, quando per caso sentii dire dai miei genitori: “Uno di noi due deve rimanere vivo per badare ai figli”. Io mi rendevo conto che la maggior parte delle persone non aveva cibo, anche se a noi non è mai mancato. La mamma però non era molto d’accordo e, infatti, diceva sempre: “So quello che ho, ma non so quello che troverò”. Noi vivevamo a Venezia e tutto sommato non stavamo male. Mio padre aveva studiato in Svizzera come “selezionatore di semi da prato”. Infatti, aveva la ditta “Agostini selezione genetica”. In poche parole era uno scienziato applicato all’agricoltura. Fu così che mio padre nel ‘49 partì da solo per capire e studiare la situazione. Poi nel ‘51 lo raggiungemmo anche noi con mia madre. Quando ci stabilimmo a Santiago io avevo 13 anni. I miei due fratelli, Roberto il maggiore e Renzo, il minore, ora vivono negli Stati Uniti. Arrivammo di sabato e lunedì ero già a scuola, in collegio dai Gesuiti, con una buona parola di un mio zio Cardinale, patriarca di Venezia nel ‘51. In collegio sono stato accolto molto bene, c’erano principalmente cileni, ci rimasi fino a diciotto anni. Frequentai poi l’Università Cattolica, seguii un anno di medicina, fino a quando conobbi un gesuita che era direttore della prima scuola di Psicologia della Pontificia Università Cattolica e mi convinse che era molto meglio psicologia che psichiatria dove si scrivono ricette, e ricoveri in ospedale, disse. Mentre in psicologia scopri com’è l’uomo, partendo dalla psicologia prenatale alla postnatale, oltre a studiare matematica e statistica.
Mio padre non era d’accordo, gli sembrava che sprecassi il mio tempo, era meglio per lui che facessi il medico. Così decise di non finanziarmi gli studi per farmi desistere. Ma io invece, sempre più convinto della mia decisione, per pagarmi gli studi davo lezione di piano e facevo dei lavoretti per agli amici di mio padre. Dopo due anni, mi vide così convinto e tenace che decise di finanziare i miei studi.
Come dissi prima, mia madre non era contenta del trasferimento in Cile ed aveva continue emicranie. Noi invece eravamo felicissimi.
Per quanto riguarda il lavoro di mio padre, tra le altre cose, egli ha portato per primo, in questo Paese, i macchinari per fare il polietilene, la plastica e quelli per fare il pane. Tutti gli anni andava alla fiera di Milano e importava i migliori macchinari. Importava dall’Italia e vendeva qui. Poi decise di associarsi con Anacleto Angelini e fondarono la Banca del Lavoro.
Una curiosità fu che mio padre assieme a Dante Lepori, nel 1949, costruirono, o se si può dire, fondarono un paese e lo chiamarono Sierras de Bellavista. Comperarono cinquemila ettari di terreno della precordigliera, costruirono le strade, portarono l’acqua, parcellizzarono il terreno e piantarono i pini, il Pino Insigne. Si trovava e due ore da Santiago, l’ultimo chilometro si faceva i piedi. Mio padre aveva 48 anni. Furono costruite 120 case. Si sono insediati principalmente italiani, svizzeri, austriaci, ungheresi e tedeschi. I cileni non erano interessati. Ma per dimostrare l’attaccamento alle sue origini venete, mio padre costruì anche un lago artificiale, nel 1953, di 2,5 km per 1 e lo chiamò Lago Misurina, come lo splendido lago nel comune di Auronzo, a Misurina, vicino delle Tre Cime di Lavaredo nelle Dolomiti. Mio padre, Nicola, mi raccontò che per fare il lago artificiale, secondo gli ingegneri che seguivano il progetto, si doveva costruire una diga di circa100 metri in cemento armato. Mio padre disse che non era necessario e in maniera artigianale costruì un argine di terra e argilla di un metro e mezzo. Gli ingegneri lo presero per matto, ma lui volle lo stesso continuare e fecero una scommessa di una cena che quella diga, rudimentale e naturale, sarebbe resistita al passaggio di milioni di litri d’acqua. Gli ingegneri erano assolutamente certi che da lì a poco sarebbe franato tutto così fecero costruire un sentiero dall’altra parte del lago. Dopo 50 anni l’argine è ancora integro. Quando gli ingegneri gli chiesero come faceva ad essere così sicuro della tenuta dell’argine, non avendo nozioni di ingegneria, mio padre con tutta tranquillità rispose: “L’ho visto fare in Italia, ero sicuro che avrebbe tenuto!”. Mi ricordo che ci andavamo il sabato pomeriggio, per noi era un paradiso naturale, partiti da Venezia dove non c’era lo spazio verde per giocare o andare a cavallo.
Ma tornando a me, e ai miei studi, la facoltà, quando fu istituita era di 3 anni, ma poi ne aggiunsero altri due. Nel ’62 finii gli esami eravamo in 35 alunni. Io sono il laureato numero 16. Il Preside di Facoltà ci disse che dovevamo essere i migliori, i più preparati, visto che eravamo i primi ad aprire la strada della professione. Ho preparato la mia tesi sull’Ipnosi Sperimentale. Era così interessante che il mio relatore l’aveva portata con sé in Venezuela e insegnava con l’ausilio dei miei studi, che chiaramente erano scritti a mano e originali, pieni di calcoli e statistiche, 64 pagine in tutto. Me la portò indietro dopo due anni e così potei laurearmi. Ero in contatto con l’università di Milano e mi concessero un dottorato di ricerca. Poi mi laureai anche in Sociologia e feci un master e un dottorato in Psicologia Sociale. Ebbi anche alcune borse di studio.
Devo riconoscere che essere veneto, italiano, in quell’epoca in Cile, negli anni ’70, era importante, mi ha favorito negli studi, venivo trattato in maniera migliore.
Quando ho cominciato a riflettere sul perché della mia scelta scolastica, mi sono reso conto, dopo molti anni, che ho voluto a tutti i costi studiare psicologia per capire il perché delle guerre, della fame, delle bombe, come fa l’uomo a ridursi così! Solo dopo molti anni che svolgevo questa professione mi resi conto che volevo aiutare psicologicamente gli esseri umani.
Mi ricordo di alcune persone venete che lavoravano qui. Ad esempio Gino Bortolaso era di San Pietro in Gu e ha messo in piedi una fabbrica di biscotti, molto rinomata e importante. Oppure Alcide Ziche sempre veneto, mio padre lo mise a capo di un’azienda agricola, un allevamento con 450 animali, nel sud del Cile, ma non gli piaceva il lavoro, nel frattempo si sposò per procura con una veneziana. Si spostarono e vennero a Santiago, vicino al cinema Astor ed aprirono un negozio di dolci. La moglie ebbe un figlio, ma disgraziatamente morì di parto. Il figlio rimase in Cile, mentre Alcide Ziche ritornò in Veneto. Bortolaso divenne molto amico del Nunzio Apostolico, Cardinal Sodano, che a sua volta ebbe un incarico molto importante durante il possibile conflitto tra Cile e Argentina per le isole Pinton Nueva e Lenox. Entrambi gli stati volevano le isole, ma ci fu una mediazione del Papa. Io, all’epoca, lavoravo all’ospedale El Salvdor di Santiago. Fui convocato dal Direttore Sanitario, un colonnello dell’esercito e uno dei carabinieri e data la mia esperienza di psicologo e sociologo e psicologo del lavoro, mi chiesero di collaborare con lo Stato in caso di conflitto armato. Il mio compito era quello di fornire supporto psicologico e soprattutto, in primo luogo, la migliore strategia per lavorare in ospedale durante una probabile guerra, strategia sia logistica che psicologica. Dovetti preparare un piano di lavoro, che comprendeva i turni in ospedale, quante persone servivano ecc. Quando e come si sarebbero potute dare le informazioni del conflitto, le parole da usare, che mezzi di comunicazione. In poche parole un piano di strategia comunicativa durante l’eventuale guerra Cile-Argentina. Io ero a capo dell’equipe di psicologi che avevo scelto e stendemmo un documento che rimase al governo militare sotto segreto di Stato e ho dovuto giurare di non diffonderlo. Mi avrebbero avvisato 72 ore prima della dichiarazione di guerra perché sarei stato precettato, messo al sicuro lontano dalla mia famiglia. Per fortuna la guerra non ci fu e tirammo un sospiro di sollievo.
Un altro momento di guerriglia, che mi ricordo nitidamente, fu l’11 settembre 1973 il Pronunciamento Civico Militare. Molti rivoluzionari sparavano all’esercito e ai carabinieri e la nostra casa si trovò con 7 pallottole di mitragliatrice nel muro. Mettemmo i materassi davanti alle porte perché durante gli spari le pallottole non entrassero. Il destino ha voluto che mio padre emigrasse dall’Italia per non vedere più una guerra da vicino e mi trovavo implicato, mio malgrado, implicato in pieno.
Comunque, una delle emozioni più grandi che questo Paese mi ha riservato è quando il Governo mi conferì la cittadinanza cilena per “meriti” per aver collaborato come “leader di opinion”, per aiutare lo sviluppo della psicologia e l’educazione. In Cile solo 40 persone hanno avuto questo onore nella storia del Paese. Negli anni ‘80 ricevetti il premio Gabriela Mistral e per ben due volte la Camera di Commercio di Padova mi ha conferito la medaglia d’oro come cittadino illustre.
Sono felice di essere cresciuto in Cile perché le persone qui sono molto ospitali e poi per il territorio ancora con molte terre selvagge dove si può stare in assoluto contatto con la natura.
Per quanto riguarda il mio rapporto lavorativo con l’Italia posso dire che ho portato in Cile la psicologia di Alberoni e i libri del padre Gemelli. Ho tradotto articoli e parte di libri di Leonardo Ancora, medico direttore della scuola di Psicologia dell’Università Sacro Cuore di Milano. Fui il primo a fare un laboratorio di psicologia per misurare le attitudini visomanuali. Fui il primo in Cile a fare selezione del personale. All’inizio andai dagli amici di mio padre che erano imprenditori e per farmi un favore mi fecero provare, ma erano molto scettici del risultato. Quando si resero conto dell’importanza dei tests e visto che facevo centro si sparse tra gli imprenditori la voce del successo dell’iniziativa. In poco tempo avevo così tanto lavoro che dovetti assumere 32 psicologi e alcuni studenti per fare le selezioni che spaziavano in tutto il Cile. Ad esempio gli addetti delle ferrovie, carabinieri e così via. Quando si insediò negli anni ‘70 il governo di Allende nessuno volle più consulenze perché le fabbriche diventarono statali.
La situazione era disastrosa e mi ritornava in mente il periodo di guerra che avevo trascorso in Italia. Per la prima volta mi ritrovai pian piano senza lavoro. Pensai seriamente di ritornare in Italia. E stabilirmi lì. A quell’epoca, uno dei dieci migliori psichiatri del mondo Ignacio Matte Blanco, anticipando quello che sarebbe successo nel 1969, fu invitato a Roma come professore universitario, e insistette perché partissi anch’io per lavorare con lui in Italia. Ma non accettai. Dopo poco, con il governo militare mi rimisi a studiare e conseguii così un’altra laurea e dottorato in Psicologia Sociale e Master in Sociologia.
Sono sicuro che il sangue veneto e italiano scorra abbondantemente anche nelle vene dei miei figli. Infatti, mio figlio Claudio dorme con la bandiera italiana appesa al soffitto e il fratello Paolo ha attaccata alle parete della camera una cartina tematica dell’Italia con raffigurati usi e costumi tipici di ogni regione.”
Tratto dal libro “Destinazione Cile” di Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato ai Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo, in partenariato con l’Associazione Veneta del Cile e l’Associazioni Imprenditori Veneti in Cile. (Tipografia Grafica Corma – Grisignano di Zocco, Vicenza. Maggio 2008)