Duccio Bonavia – Dalmazia/Treviso
Un uomo che ha dedicato tutta la sua vita alla cultura e sta continuando tuttora. La sua abitazione, dove ci riceve, infonde un senso di silenzioso rispetto per tutti quei libri sapientemente allineati sugli scaffali.
Seduti comodamente in soggiorno, con tono tranquillo il professor Duccio Bonavia inizia a raccontarci la sua esperienza di vita. Ci mostra con orgoglio il pesante volume dell’Enciclopedia Archeologica dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani, dove lui ha scritto più di ottanta voci. “Mio padre diceva sempre che la migliore enciclopedia del mondo era la Treccani, ma durante la sua vita non ha mai potuto acquistarla perché le sue finanze non glielo permettevano. Quando fui contattato proprio dalla direzione della Treccani che mi chiese di lavorare per loro, ebbi un’enorme soddisfazione. L’unico rammarico era che mio padre non c’era già più. Ma ritornando alla mia vita, voglio iniziare dalla Dalmazia[1]. Io sono nato a Spalato, in Dalmazia, nel 1935, dove mio padre era dirigente dell’ItalCementi. In Dalmazia siamo stati perseguitati dai comunisti e siamo scappati in Carnia durante la guerra. Mio zio mi raccontò che quando sono arrivati i comunisti a casa, hanno preso tutti i libri di mio padre in lingua italiana e li hanno buttati nel fango. Lo stesso zio riuscì a salvare un solo libro, un dizionario, che ancora conservo …..e si vede il fango sulle sue pagine. Quella è la cara terra della mia Dalmazia. Non ho mai potuto frequentare un intero anno nella stessa scuola, dal ‘41 al ‘49.
Dalla Carnia siamo andati a Gorizia. Negli ultimi due anni della guerra ci hanno bombardato la casa e terminata la guerra ci siamo trasferiti a Bassano del Grappa, dove siamo rimasti per un periodo e poi di nuovo le valige per trasferirci a Possagno, in provincia di Treviso, dove ci siamo fermati per tre anni. A Treviso ho frequentato i primi due anni del liceo scientifico. Mio padre diceva sempre “puoi dimenticare qualsiasi lingua, ma non il Veneto”. Infatti, io non l’ho mai dimenticato. Anzi a casa parlavamo sempre il dialetto. Ancor’oggi quando sono arrabbiato, inveisco in dialetto. Mi sembra di essere più incisivo. Mantengo vivo l’italiano leggendo riviste, compro libri in Italia e sono in contatto con le comunità Giuliano-Dalmate sparse in tutto il mondo.
Nel 1949 siamo emigrati in Perù, dove c’era già uno zio che ci convinse perché ci disse che si viveva abbastanza bene. Partimmo: la mamma, il papà, mio fratello Gauro ed io. Il mio nome, Duccio e quello di mio fratello Gauro, papà li prese da un romanzo di Gabriele D’Annunzio. Mio padre era un grande irredentista, un dannunziano di ferro. Io avevo allora quindici anni e sinceramente volevo ritornare in Italia perché sentivo fortemente il senso del patriottismo. L’ho sempre presente, mai per un attimo mi ha abbandonato. Nel ’49 non conoscevo lo spagnolo e mio padre mi fece frequentare il collegio italiano Antonio Raimondi. Entrai in decima classe. In un anno appresi la lingua. Poi, terminate le superiori, m’iscrissi ad architettura. Dopo aver frequentato due anni, mi resi conto che non possedevo solide basi di matematica. Andai in crisi. Il medico disse a mio padre di non farmi studiare più per un anno, ma di lasciarmi riposare. Siccome mio padre non aveva denaro chiese ad un amico che aveva una azienda agricola a Huarmey (trecento chilometri al nord di Lima) di farmi passare un tempo lassù.
Lavoravo con i contadini, facevo un lavoro manuale. Un giorno, un contadino “tombarolo” mi disse che la notte sarebbe andato a scavare una tomba. La cosa m’incuriosì molto e decisi di andare con lui, anche se non avevo capito bene di cosa si trattasse. Quando fummo sul luogo della tomba, guardavo allibito questa persona che senza nessun ritegno distruggeva tutto quello che non gli sembrava avesse un valore commerciale. Distrusse vasi di ceramica, pezzi di stoffa e altre cose, tutto davanti ai miei occhi. Io dallo sdegno rimasi impietrito. Rimasi così scosso che non volli più andare a lavorare nell’azienda. Presi un cavallo, lo sellai e cominciai a visitare tutte le tombe aperte dai tombaroli e le rovine che trovai vicino, nella valle di Huarmey. Quando ritornai a Lima portai con me molti reperti che avevo trovato in superficie e li misi prima in casa e molti anni dopo in un museo. Era tutto alla rinfusa. In quel momento capii che avevo trovato la mia strada nella vita. Un amico di famiglia, il conte piemontese Carlo Radicati di Primeglio mi fece capire che la mia strada era l’archeologia. Senza perdere tempo, m’iscrissi all’Università Nazionale Maggiore di San Marco a Lima, la migliore e la più antica del Sud America. Ebbi la fortuna di avere come professore uno dei più grandi storiografi peruviani, Raul Porras Barrenechea. Io frequentavo il suo corso di storia e lui capì subito che io avevo la passione per l’archeologia e mi assegnò il compito di scrivere una monografia sull’archeologia della vallata di Lima. Si aspettava che, come al solito, io copiassi da testi già scritti, invece io andai sul posto, studiai, fotografai le opere e scrissi di mio pugno la tesi. Risultò un lavoro totalmente originale. Anzi tuttora alcune rovine che ho riportato nella mia ricerca sono andate distrutte. Terminai i cinque anni di università nel 1961 e mi offrirono una cattedra di archeologia all’Università di Ayacucho. Ci rimasi per un anno e mezzo, mi piaceva molto. Feci anche due grandi spedizioni nella Ceja di Selva, ebbero molto successo. Pubblicai il resoconto e il Direttore della Casa di Cultura del Perù, Josè Maria Arguedas, uno dei più grandi scrittori del Perù, mi chiese di lavorare al Museo Nazionale di Antropologia e Archeologia. Qui dovetti prendere la decisione più difficile della mia vita perché per fare il funzionario statale serve la cittadinanza peruviana. Alla fine per poter sopravvivere, avevo già una famiglia da mantenere, dovetti accettare. Erano gli anni ’60. Molti anni dopo, l’Italia decise che chi aveva rinunciato alla cittadinanza italiana poteva riaverla e così feci. Con mia grande soddisfazione sono di nuovo cittadino italiano. Prima, ogni mattina quando mi guardavo allo specchio, mi vedevo traditore della Patria.
Anche la mia vita sentimentale ebbe una svolta, mi sposai con Anna e abbiamo avuto due figli: Bruna e Aurelio.
Ma tornando alla mia vita lavorativa, insegnavo all’Università Nazionale Maggiore di San Marco e contemporaneamente ero il Vicedirettore del Museo Nazionale. Poi la situazione politica mutò, venne il regime militare e ci fu la crisi. Dovetti rinunciare sia al museo che all’università. Per fortuna, l’Università Peruviana Cayetano Heredia mi assunse, non c’era il corso di archeologia e così fui professore nel dipartimento di Biologia e creai il Laboratorio di preistoria dedicato fondamentalmente allo studio della “domesticazione delle piante”. Ho dovuto imparare la sistematica della botanica, storia naturale, mentre insegnavo, imparavo. Mi sono specializzato nella parte più specialistica dell’archeologia. Da quel momento in poi sono sempre rimasto a insegnare lì fino all’età della pensione. Ora continuo a lavorare come ricercatore.
Ritornando alla famiglia, entrambi i miei figli sono biologi. Aurelio vive e lavora a Boston come ricercatore nel ramo dei virus. Mia figlia Bruna è in Canada, ha lavorato all’università ed ha due figli”. Mi moglie purtroppo è morta, così sono rimasto solo nel Perù.
È importante ricordare che il professor Duccio Bonavia si è specializzato con il Laboratorio di Preistoria e Geologia del Quaternario dell’Università di Bordeaux. E’ stato professore conferenziere in due opportunità dell’Università di Bonn. Specialista in archeologia andina. Sebbene abbia fatto ricerche sull’archeologia generale peruviana si è specializzato negli aspetti più scientifici come la botanica, la zoologia, l’ecologia, la patologia, la parassitologia e la coprologia. Ha studiato anche la storia della medicina peruviana. I suoi due temi prediletti sono la domesticazione del granoturco e i camelidi. E’ autore di 14 libri, 7 monografie, 42 capitoli di libri e più di 150 articoli in riviste scientifiche internazionali. Ha collaborato con il Dictionnaire de la préhistoire che diresse André Leroi-Gourhan ed è uno degli autori che ne ha scritto più voci.
[1] Giuliani nel mondo. Cause e caratteristiche dell’emigrazione giuliano-dalmata.
Già nella seconda metà dell’Ottocento sono state segnalate numerose presenze di persone originarie da tali aree geografiche (allora facenti parte dell’Impero Austro-ungarico), le quali esercitavano commerci ed attività marittime in Australia ed in alcuni Paesi del Sud America, in particolare in Argentina, in Brasile ed in Uruguay. I flussi migratori di maggiore consistenza hanno avuto luogo nel Novecento, a partire dal periodo successivo alla prima guerra mondiale. Sono continuati, in relazione agli avvenimenti che hanno interessato la Venezia Giulia, le città di Trieste e di Gorizia, l’Istria, la zona di Fiume, il Quarnero e la Dalmazia, verso la fine e dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. Infatti, le cause e le caratteristiche dell’emigrazione giuliano-dalmata sono sostanzialmente diverse da quelle tradizionali dell’emigrazione dalle altre regioni italiane, a cominciare dal Veneto e dal Friuli, riconducibili alle condizioni di miseria delle popolazioni e dalla ricerca di una vita migliore altrove. Le motivazioni dell’emigrazione giuliano-dalmata, infatti, sono direttamente connesse alle travagliate vicende storico-politiche che hanno ripetutamente e drammaticamente coinvolto nel trascorso secolo le terre del confine Nord-Orientale dell’Italia. Per questo si possono definire alcuni periodi principali: fra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta e poi alla fine dalla seconda guerra mondiale, per motivi diversi, dall’area giuliana, ed in particolare dalle province di Trieste e di Gorizia; nel periodo dal 1943 alla fine degli anni Cinquanta, in cui è avvenuto il grande esodo della popolazione italiana dall’Istria, da Fiume, dal Quarnero e dalla Dalmazia; nel periodo dal 1953 alla fine degli anni Cinquanta, in cui vi è stato una notevole emigrazione dall’area triestina verso l’Australia. Il fenomeno delle emigrazioni di massa si è esaurito negli anni Sessanta. Da queste zone, comunque, va segnalata una costante migrazione di carattere professionale, dirigenziale ed in taluni casi anche imprenditoriale, iniziata dai primi decenni dello scorso secolo verso varie parti del mondo e, successivamente, sviluppatasi in misura crescente nelle diverse epoche ed in relazione alle varie opportunità fino ai nostri giorni. Fonte: http://www.giulianinelmondo.com/cause.html
Tratto dal libro “Destinazione Perù” degli autori Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo (Camisano Vicentino (Vicenza), Tipografia Ga.Bo, Marzo 2010).