ANNA MARIA BUSATO, detta GABRIELLA MANTOVANI – VERONA
Anna Maria, ma chiamata Gabriella, queste sono le stranezze della vita. Dice: “Infatti all’anagrafe sono certificata come Anna Maria, sono nata durante il periodo fascista, quando non si potevano mettere più di due nomi, mio padre mi voleva chiamare Anna Maria Gabriella e sono due nomi, ma l’impiegato dell’anagrafe scrisse solo Anna Maria e non risulta in nessuna documento il nome Gabriella, ma noi eravamo convinti che ci fosse e così mi hanno sempre chiamato Gabriella.”
Una signora molto distinta e gioviale. Carica di cultura e di riservatezza. “Sono nata a Verona nel 1930. Ricordo il giorno delle Sanzioni all’Italia”, accusata dalla Società delle Nazioni di aver invaso l’Abissinia aprendo le ostilità contro l’Etiopia. “Era il mio compleanno, il 18 di novembre del 1935. In casa tutti parlavano di politica e se ne sono dimenticati. Siccome io ero una bambina timida e chiusa rimasi tutto il giorno triste in disparte e non dissi niente a nessuno.
Mio padre aveva due negozi di fiori in centro a Verona, uno vicino all’ospedale vecchio, che è stato bombardato ed è letteralmente sparito. La mamma lavorava con lui. Ho studiato all’Istituto Seghetti, dalle suore, fino alla maturità magistrale, che purtroppo ho ottenuto il giorno del funerale di mio padre. La mamma era mancata un anno e mezzo prima. Ad appena 18 anni mi ritrovai da sola e per lo più figlia unica. Andai a vivere per un po’ da una mia zia e un po’ a casa di un’amica di famiglia.
Ho dovuto andare a vivere con degli adulti perché la maggiore età all’epoca era a 21 anni. In quei tempi cominciò la mia avventura dell’emigrazione. Conobbi Luigi Mantovani a 18 anni, ci siamo piaciuti subito, ma come si usava allora, ognuno a casa sua, si facevano lunghi discorsi, molte lettere e intere giornate d’attesa. Luigi partì per il Perù nel ‘49, ma io, data la mia giovane età, non ho potuto seguirlo. Andò lì perché c’era già suo zio Pietro Albrizio, nato a Treviso nel 1895, arrivato in Perù nel 1927 con la nave Orazio. Pietro era un enologo di professione e in un primo tempo lavorò a Lima come importatore di marmo di Carrara. Si trasferì poi a Chincha e in seguito a Ica dove iniziò a svolgere la sua professione di enologo nell’azienda vinicola ALFREDO MALATESTA. Nel 1938 si sposò con Rosa Malatesta, ma non ebbero figli.
Fu così che nel ’49 chiamò suo nipote Luigi Mantovani, il mio Gigi. Io, appena compiuti i ventun’anni, accettando l’invito della “zia Rosa” li raggiunsi in Perù. Era il maggio del ‘52. In giugno ci siamo sposati nell’hacienda dei Malatesta di San José. In Italia ero molto sola, fui contenta d’emigrare e di iniziare una nuova vita, in un nuovo mondo, sperando che fosse migliore di quello che mi lasciavo alle spalle. Vivevamo a Lima, Luigi era impiegato in un’industria farmaceutica ed io insegnante elementare alla Scuola Italiana Antonio Raimondi, che si trovava nell’Avenida Arequipa. Ho insegnato sempre nella stessa scuola per trent’anni ed ora sono in pensione. Abbiamo avuto tre figli. Aldo è del ‘55, architetto e professore ordinario nella facoltà di architettura nella Pontificia Università Cattolica di Lima. Rosanna del 1960 sposata con tre figli: Iosu, Ainhoa e Miguel. Attualmente è insegnante di matematica nella scuola dove ho insegnato io, che ora è situata nel quartiere La Molina. Pierluigi, nato nel 1968 è sposato ed ha due figli: Pier e Antonella. Vivono in California.
In Perù ho sempre cercato di mantenere l’italianità della mia famiglia, parlando italiano ai miei figli, che hanno studiato alla scuola italiana e Aldo, l’architetto, ha frequentato dei corsi di perfezionamento per circa dieci anni in Italia, a Venezia e a Roma. La cucina è sempre stata veneta. Polenta, risi e bisi e tante altre ricette. Seguivamo la radio e la tv italiane.
Sono stata in Italia già sei volte con alcuni dei miei figli perché volevo che la conoscessero bene. Ho sempre avuto nostalgia della mia Patria anche se posso dire di aver vissuto “una vita italiana in Perù”, insegnando tutti i giorni in una scuola italiana.
Ho sempre fatto una vita molto ritirata, semplice, frequentando amici italiani e peruviani. Dopo più di cinquant’anni che sono in Perù devo dire che se sento qualcuno che lo critica mi dispiace perché mi ha dato tanto, mi ha trattato bene. Però le mie radici sono radicate a Verona. Questo sentimento l’ho trasmesso in maniera molto sentita a mio nipote Iosu. È già andato due volte in Italia, specialmente a Verona, anche se ha solo 23 anni. Studia e lavora per pagarsi i viaggi. Mi dice che si è innamorato della Patria dei suoi nonni e infatti parla correttamente italiano.
Il mio matrimonio è durato quarantasei anni. È stato veramente un buon matrimonio basato sull’affetto profondo, la stima e il rispetto reciproco. Mio marito è mancato nel ‘98 dopo vari anni di malattia. Anche lui, come me, pur amando il Perù si è sempre ritenuto italiano, anzi veneto. Tra di noi abbiamo sempre parlato dialetto e così eravamo a casa”.
Tratto dal libro “Destinazione Perù” degli autori Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo (Camisano Vicentino (Vicenza), Tipografia Ga.Bo, Marzo 2010).