Giorgio Chiamulera – Valle di Cadore – Belluno
Giorgio Chiamulera ci accoglie nel suo negozio di alimentari italiani, con la splendida figlia. Non è solo un negozio, l’attività di Giorgio è molto più gustosa perché ha un laboratorio per la produzione della pasta e delle leccornie che vende. Dopo averci fatto visitare il laboratorio ci conduce a casa sua per pranzare, chiaramente a base di buonissimi tortelloni Chiamulera. Iniziamo a srotolare la pellicola dei ricordi e delle emozioni. “Sono nato a Valle di Cadore in provincia di Belluno, il 23 marzo 1937. Ho una sorella, Carmen e un fratello, Francesco.
Io da piccolo sono sempre cresciuto con mia madre Angela Rina Ciliotta, perché mio padre partecipò alla guerra in Africa, venne fatto prigioniero dagli americani e rimase lontano da casa per sette anni.
La situazione della mia famiglia a quel tempo non era male, perché mia madre lavorava facendo il fieno e aveva anche due mucche e terreni per coltivare patate e granoturco.
Mia madre mi chiese se volevo studiare o lavorare e io mi decisi per la seconda opzione. Così, finita la scuola, iniziai a imparare l’arte del pasticcere, e quando non trovavo lavoro in pasticceria, collaboravo in un negozio di generi alimentari, per cui lavoravo sempre.
Il mio primo lavoro a Valle di Cadore fu presso la pasticceria Giacchetti. Infatti, ero giovane, avevo appena finito la quinta elementare e un giorno mi trovavo davanti al locale Giacchetti, in paese, il proprietario mi chiese se potevo andare a prendergli del gelato che la sorella produceva in piazza Costa. Io andai, feci la commissione e al ritorno, il padrone mi regalava un gelato. Ma quella volta, Ambrogio Giacchetti mi chiese se volevo lavorare per lui in pasticceria. Io accettai subito. Ero anche molto felice perché tutti i pezzi di dolce che rimanevano sul tavolo potevo mangiarli. Rimasi a lavorare in pasticceria per quasi quattro anni e poi facevo un altro lavoro: il garzone in una bottega di generi alimentari. Un giorno mi recai a Vittorio Veneto in vacanza a vendemmiare da mio cognato Armando Braido. Mentre ero lì arrivò il proprietario della pasticceria Bressan di Santo Stefano di Cadore. Mi disse che aveva bisogno di parlarmi. Aveva bisogno di un pasticcere. Io gli risposi che ero solo un apprendista, ma lui insistette, dicendo che la moglie mi avrebbe insegnato. Accettai e quando lo dissi al signor Giacchetti, anzi alla sorella Teresina, mi disse che se non mi fossi trovato bene sarei potuto ritornare. Per fortuna mi trovai molto bene e rimasi da loro fino al 1956. Quell’anno il fratello di Ambrogio Giacchetti, Antonio, che già viveva a Lima dove aveva un panificio – pasticceria, in centro, Tres Estrellas, mi chiese se andavo ad aiutarlo. Io accettai subito parchè non volevo fare il servizio militare, ero rimasto molto turbato dalla guerra. Sono venuto qui per trovare la pace.
Dopo aver saputo che a Lima c’erano molti gli emigranti della Valle di Cadore iniziai a pensarci seriamente, sebbene la consapevolezza della lontananza del Perù mi spaventasse molto.
Una domenica, ritornando da Santo Stefano a Valle di Cadore, mia mamma, che aveva già parlato con Antonio di andare in Perù, mi disse: “ora sei grande e non posso più dirti di andare o di rimanere qui. Non vorrei pentirmene un giorno o averti obbligato a partire”.
Allora mi decisi a partire per il Perù. Partii il 18 ottobre 1956 da Genova, arrivando in Perù il 14 novembre 1956, a bordo della nave Marco Polo e dopo 25 giorni di viaggio sbarcai a Lima. Fui accolto da alcuni miei compaesani di cui avevo sentito parlare: i Giacchetti, i Carabin, i Marinello, i Ciliotta, gli Agnoli, i Corte e altri. Mi sembrava di essere in Cadore. Così trovai subito un letto per dormire.
Con la forza che avevo avuto per staccarmi dalla mia famiglia, affrontai tutto cercando di non pentirmi.
Lima era una piccola città all’epoca, la gente era tranquilla, gentile, cortese ed accogliente. Il mio lavoro era principalmente in laboratorio per la preparazione della pasta e della pasticceria, poi nel pomeriggio andavo ad aiutare al banco così imparavo anche la lingua, lo spagnolo. All’inizio capivo più con i segni che con le parole. Mi ricordo che all’inizio quando dovevo dire ai clienti: “Dovete andare a pagare alla cassa”, non ero capace di pronunciare la lettera j d caja (cassa) e dicevo: “Andate a pagare alla cacca”, mentre lo dicevo mi vergognavo come un cane, diventando tutto rosso.
Nelle ricette di pasticceria lo zucchero non era uguale, poiché in Perù si utilizza quello di canna, mentre in Italia quello di barbabietola, che è meno forte.
Tutto era una scoperta, anche mangiare ceviche, pesce crudo con il limone, o il peperoncino piccante rocoto, o ancora il riso bianco che si usava dappertutto, e io mettevo il ketchup per riuscire a mangiarlo. Sono dei bei ricordi.
Avevo 19 anni. La voglia di ritornare in Italia era tanta, ma sapevo che fino ai 26 anni sarei dovuto rimanere all’estero, altrimenti dovevo fare il servizio militare. Infatti, allo scoccare dei ventisei anni andai all’ambasciata, ma mi dissero che se fossi rientrato prima dei 30 anni avrei dovuto fare il servizio militare. Me ne ritornai a casa con una grande delusione e la coda fra le gambe. Fino ai 30 anni compiuti non mi mossi da Lima. Fino al ‘64 rimasi a lavorare nella pasticceria e poi con un paesano, Marinello, formammo una società per gestire un panificio, sempre a Lima, di proprietà di un genovese. Quando arrivò la fatidica soglia dei 30 anni, non vedevo l’ora di ritornare in Cadore. Comperai subito i biglietti e partii. Arrivato alla stazione di Calalzo alle 11.00 di sera c’erano cinque persone. Tre erano arrivate, io andavo a Valle di Cadore, uno andava a Cortina l’ultimo era un alpino che rientrava in caserma. Ci guardammo intorno, non c’erano taxi. Dopo un po’ ne arrivò solo uno e salimmo tutti e tre. Ebbi l’impressione che tutto si fosse ristretto, fosse diventato piccolo e rimasi deluso. Infatti l’amore che provavo per la mia terra era enorme, ma la realtà era un’altra. Rimasi con mia madre una settimana e poi decisi di visitare l’Italia. Comperai un biglietto di tremila chilometri. Tra l’altro, dovevo andare a Levanto per rinnovare il contratto del negozio che avevamo in Perù. La mia prima tappa fu proprio Levanto. Dopo aver fatto quello che dovevo, presi il treno per Roma. Mi sedetti in uno scompartimento dove c’erano già cinque posti occupati e ne rimaneva uno. Mi sedetti di fronte ad una splendida ragazza e subito mi vennero in mente le parole che pochi giorni prima mi aveva detto mia madre: “È ora che ti sposi”. Così mi feci coraggio ed iniziai a chiacchierare con la ragazza. La conversazione durò da Levanto a Roma. Sinceramente io le parlai per otto ore e lei a volte mi rispondeva. Quando ci stavamo avvicinando a Roma io le dissi: “Vorrei sposarmi” e lei rispose: “La tua fidanzata lo sa?” allora io guardandola fisso negli occhi: “Ancora no, ma lo sto per fare, vuoi sposarmi?” La ragazza, Annamaria Balletta, incredula bisbigliò: “Sei matto?” e dallo shock si mise a piangere. Io non volevo lasciarla andare perché il cuore mi diceva che quello era l’amore della mia vita. Le proposi di accompagnarla a casa a Teano, lei rifiutò ma mi diede l’indirizzo. Io ripresi il mio viaggio e ad ogni città che visitavo le mandavo una cartolina. Dopo quindici giorni circa ritornai a casa, a Valle di Cadore e le scrissi subito una lettera chiedendole ancora d sposarmi. Il quindici di giugno ci siamo conosciuti e il dieci di settembre ci siamo sposati.
Oggi, che sono trascorsi quarantadue anni di matrimonio, siamo ancora felici come il primo giorno. Abbiamo una splendida famiglia. Infatti, dopo sposati, decidemmo insieme di ritornare in Perù. Era il 1967. Io non avevo problemi di residenza perché c’ero già da 11 anni, ma mia moglie, ebbe solo un permesso di tre mesi come turista. Per fortuna allo scadere dei tre mesi era incinta. Andò dal medico, che per fortuna era figlio di italiani, e vedendola così preoccupata le fece i documenti per rimanere. Ora abbiamo tre figli, un maschio e due femmine. Giancarlo che ha 42 anni, Claudia, 36 e Mariangela 30. Siamo già nonni di cinque nipoti: Alessandra, Daniela, Giancarlo, Mario Ignazio, Michele e Michaela.” Ci dedichiamo al negozio di pasta fresca e congelata, dove lavoriamo tutti insieme.
Non mi posso lamentare, ma tutto ciò che abbiamo fatto e raggiunto è stato possibile grazie a un duro lavoro.
Non mi sono mai pentito di nulla, lavorando molto mi sono costruito una vita e una famiglia e ho trovato tanti veri amici peruviani. Ormai sono in Perù da più di 50 anni.
Non tornerei più a vivere in Veneto, ormai la maggior parte della mia vita si è svolta in Perù, ma sono sempre legato al mio Paese. Tutti i giorni vediamo Rai International, telefono in Italia e chiedo dei miei paesani. Grazie alla RAI, mi sento più vicino alla mia Italia.
Posso dire in tutta franchezza che noi veneti, con il sacrificio, il lavoro, ma soprattutto l’onestà, che è preziosa in tutto il mondo, abbiamo creato un ambiente di fiducia, di qualità del prodotto. Mi ricordo che anche il famoso gruppo Scoiattoli di Cortina d’Ampezzo è stato qui a Lima per arrampicare nella Cordigliera Bianca, erano un gruppo di 12 persone e purtroppo due sono rimaste sotto ad una valanga.”
Ora Annamaria, nata a Teano nel ’49, la moglie, ci racconta alcune sue impressioni: “Abbiamo sempre condiviso tutto con mio marito. Quando sismo arrivati in Perù avevo il desiderio di mettere su famiglia, sapevo che andavamo incontro a tanti sacrifici, ma avevamo molto entusiasmo e voglia di lavorare. Ora dopo 42 anni siamo veramente felici, tutti i nostri sogni si sono avverati. Abbiamo una famiglia, i miei figli sono laureati, hanno una posizione, ognuno ha il proprio negozio, una casa splendida ed anche una villa al mare. Ho cercato di vivere tutta la vita con rispetto, senza bugie. Ho cercato di essere una buona mamma e ho fatto di tutto perché anche i nostri figli siano rispettosi verso loro stessi e verso gli altri. Siano lavoratori onesti, semplici e soprattutto non arroganti. Il segreto è essere semplici ed aiutare il prossimo, aiutare chi ha bisogno. Se dai, ricevi. Quando vengono dei ragazzi in negozio da noi e dicono che hanno fame gli preparo un panino e glielo dono, perché penso che potrebbe essere mio figlio.”
Tratto dal libro “Destinazione Perù” degli autori Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo (Camisano Vicentino (Vicenza), Tipografia Ga.Bo, Marzo 2010).