ALESSANDRO GAFFORIO – CONEGLIANO VENETO – TREVISO
Alessandro ci riceve nella sua accogliente casa, dove si nota il buongustaio, chi sa vivere la vita con intelligenza, serietà, ma anche quel pizzico di amore di sé che ci vuole per sopravvivere.
Ci mette subito a nostro agio, anzi ci ha seguito anche durante il nostro soggiorno a Lima, dandoci i preziosi consigli di chi ha girato il mondo e ha avuto molte esperienze.
Scopriamo chi è Alessandro. Nato il 24 dicembre 1956 a Rieti, dove il papà Pietro, veneto di Cavarzere, lavorava come amministratore dello stabilimento della Montecatini – Snia Viscosa. Ha compiuto gli studi classici e poi ha frequentato l’Università a Roma, Facoltà di Scienze Politiche. Nel frattempo nasceva la passione per la politica e iniziava ad avere degli incarichi politici nelle fila del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana.
Da principio a livello provinciale e poi a livello nazionale, occupandosi dell’Ufficio Esteri. Tale attività gli ha permesso di viaggiare molto, intessendo relazioni con i partiti associati nell’Internazionale DC.
In particolare nei paesi latino-americani. Negli anni ottanta ha seguito molti progetti di sviluppo e cooperazione in El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Venezuela, Perù, Cile ed Argentina. In particolare nel Salvador, dove risiederà per più tempo, si è laureato in architettura presso l’Università Politecnico.
Nel 1990 ha lasciato l’attività politica e iniziato a lavorare per varie società multinazionali. Ha abitato per due anni in Argentina, dove ha diretto un’azienda agricola di 2000 ettari, e per tre anni in California, a Los Angeles, come responsabile della sede americana di un’importante impresa cerealicola.
A questo punto della sua carriera, dopo l’esperienza negli Stati Uniti e forse per contrappasso, decise di trascorrere un anno sabbatico: era il 1995. Realizzò un progetto di volontariato in un orfanotrofio di Lima, paese dove aveva già lavorato nel 1987, proprio in un programma Unicef con minori abbandonati.
L’attività di assistenza, realizzata con i 120 bambini e bambine dell’istituto Niños Jesús de Praga, a Chorrillos, una zona suburbana di Lima, fu talmente importante ed edificante che decise che non sarebbe terminata dopo i 12 mesi previsti, ma si sarebbe prolungata.
Trascorsi tre anni, era abbastanza provato e rimase a Lima qualche mese in più per riflettere e decidere sul suo futuro. Il Perù in quell’anno, il 1998, era in piena espansione economica e dava già segnali di grande ripresa offrendo varie opportunità di lavoro. Senza averlo immaginato al suo arrivo, ma con passione ed un constante amore per il paese andino, decise di fermarsi in Perù e fondò, con un socio spagnolo, una società di consulenze e gestioni che oggi conta oltre un centinaio di impiegati.
Naturalmente, essendo un grande appassionato di gastronomia, dedicò il tempo libero alla sua campagna producendo, nella sua tenuta, coltivata sul modello della vigna dei nonni di Conegliano Veneto, ortaggi, uva e frutta. È anche produttore di pisco ed è giudice assaggiatore di vino e distillati. Su questi temi tiene conferenze e scrive articoli su riviste specializzate.
Ora però cerchiamo di carpire qualche esperienza che racconta con il cuore tralasciando l’uomo d’affari:“Era il 1962. Non sono nato in Veneto come il mio papà Pietro, ma ho il Veneto nel cuore. Ha forgiato la mia personalità, mi ha fatto crescere bambino felice, ha generato e formato il mio amore per la madre terra, l’orto, la vigna, il buon mangiare e bere.
Appena terminata la scuola, la prima settimana di giugno, da Poggio Mirteto in Sabina, partivo per Conegliano per recarmi a casa della nonna. Fino a San Michele, il 29 settembre, in tempo per essere di nuovo a scuola per San Remigio, il primo d’ottobre. Dal 1963, anno della mia 1ª elementare fino agli esami di terza media, nel 1970. Puntuale come le rondini di primavera.
Quanti bei ricordi della mia Conejan. Il primo che mi torna alla mente facendo un rapido promemoria di quegli anni spensierati, è l’odore del fieno che mi accoglieva all’arrivo. Prima verde e acido e poi, a luglio, d’oro e dolce. Era intenso e l’ho sempre legato alle vacanze e al “mio Veneto”. Poi, quando i grappoli s’ingrossavano ed anche loro cambiavano colore, la vigna prendeva il sopravvento e diventava la regina degli odori, dei colori e dei sapori. Era una vera festa, la vigna.
Ogni santo giorno gli zii controllavano filare per filare, grappolo per grappolo, con un occhio al cielo, soprattutto a settembre, recitando preghiere affinché i temporali non danneggiassero la vendemmia. Le api si occupavano, con il loro ronzio incessante dall’alba al tramonto, dell’accompagnamento sonoro. Ricordo senza troppo dolore le tante volte che mi hanno punto. Lo associo, infatti, alle premure della nonna che arrivava puntuale al secondo singhiozzo, mi toglieva il pungiglione, quando c’era, e poi mi coccolava tenerissima, e alla sua dolcezza si sommava anche quella di una o due caramelle Rossana. A seconda della “gravità” della puntura.
Tre o quattro grandi cespugli di ortensie celesti, rosa e azzurre, si occupavano di dare ancora più colore al podere. Le ortensie separavano i filari dalla pergola che regalava l’ombra al grande tavolo dove tutta la famiglia pranzava nelle occasioni importanti, come la festa dell’Assunta il 15 agosto. Il grande tavolo, fatto di cemento e quelle vecchie mattonelle grigie, nere e color vinaccia, era il mio rifugio favorito e, quasi sempre, arrivava lì la chiamata per andare a letto.
Quella vigna e la grande cucina a legna dell’ampia casa dei nonni sono state fondamentali per formare quella che oggi è la mia passione: l’enogastronomia.
Che ricchezza e che grande scuola è stata per me Conejan! (Conegliano)
I miei testi? Tutti i sapori dell’orto, incluso il radicchio trevigiano, la polenta, cucinata in cento maniere compresa la Smegiazza, la luganega e poi i risotti, el polastro imbotio, e il baccalà alla vicentina. Per non parlare dei vini, del maestoso Prosecco e la straordinaria Grappa.
Ma torniamo ai ricordi continuando con le gite domenicali. Dopo la messa della domenica, che quasi sempre era alle 11.00, all’Ogliano, con la Fiat 600, d’un verde spento oggi assurdo, si visitavano i paesetti e le cittadine vicine. Treviso e Vittorio Veneto in primis, ma anche tanti borghi e villaggi sparsi per le campagne e lungo la cara Strada del Vino, che mi dava e dà ancora contentezza solamente a nominarla. A Treviso mi prendevano il gelato in una latteria. La ricordo ancora perfettamente come se fosse ieri, tutta rivestita di ceramica bianca e sento ancora l’odore del latte grasso e giallo che la impregnava. Costavano 10 lire due palline: cioccolato e crema. Era un lusso perché c’era anche una pallina da 5 lire.
A Venezia, non so perché, ci andai solo una volta e, molti anni dopo, quando ci tornai già grande, se non fosse per San Marco e, l’unicità delle sue calli, mi sembrò di non riconoscerla più, già preda dei turisti.
Ma il cuore dei giorni felici nel mio amato Veneto batteva nella “casona” dei nonni paterni, quanti aneddoti e quante storie che s’ingrandivano e spaziavano nell’immensa fantasia nella mente di un bambino. Ricordo il “Bepin”, l’uomo che veniva di tanto in tanto ad aiutare nei lavori agricoli. Era una persona semplice e, forse non doveva essere considerata troppo dagli altri, ma io gli volevo molto bene. Era abbastanza alto e magro, aveva una bicicletta nera che nessuno poteva toccare, stava spesso solo, con me e la nonna conversava, ma sempre da soli, sembrava che soffrisse quando c’era troppa gente. Era solitario e molto introverso, a me raccontava storie che trovavo interessantissime. Non erano favole, ma storie che sempre insegnavano qualcosa, avevano una morale, brevi pillole di saggezza insomma. Non capivo perché non dimostrasse con gli altri quello che dimostrava a me. Forse è l’unico mistero di Conejan: el Bepin, il filosofo felice della sua solitudine.
E poi c’era Monica. In verità non ricordo oggi se era di poco più grande o piccola di me. Certamente so che il mio cuore accelerava quando sentivo che la famiglia Zonin sarebbe venuta e, molto di più, quando appariva all’improvviso, interrompendo non so quale gioco che facevo nella parte posteriore della casa, quella che dava verso la vigna e la pergola. Il cuore mi arrivava in gola. Passavamo vari minuti di sospettoso silenzio prima di parlare. Dentro bollivo, ma fuori sembravo un ghiacciolo. Stordito e incapace di qualsiasi cosa. Se in quel momento mi avessero chiesto come mi chiamassi, probabilmente avrei risposto: Monica! Era l’unica luce nelle tenebrose nubi delle mie prime innocenti e candide scoperte amorose. Per fortuna, quando andava via e ci salutavamo, solo con lo sguardo, io poi ritornavo un bambino normale e mi riappropriavo delle mie “piene” facoltà mentali. Oggi quando ci ripenso, mi viene in mente la scena del distacco di Jurij Andrèevič Živàgo, interpretato da Omar Shariff quando si separa da Lara Antipov, una splendida Juli Christie nel film “Il Dottor Zivago” tratto dal libro di Boris Pasternak.
Quanti bei ricordi e che grande affetto mi lega a Conegliano e al Veneto.
Lacci indissolubili ancor oggi vivissimi che, dal lontano Perù, conservo e coltivo anche attraverso l’Associazione dei Veneti nel Mondo onlus e con molta gratitudine per quelle persone che in Perù e in Italia si adoperano affinché questi legami non si attenuino con il passar degli anni, ma al contrario, si rafforzino. Spesso penso, senza nessuna polemica, a come sarebbe bello che gli italiani amassero l’Italia come noi che viviamo all’estero. Sarà nostalgia? No lo so, ma vi prego, voi che siete lì, fateci sempre essere orgogliosi della nostra Italia e della nostra amata terra veneta.”
Tratto dal libro “Destinazione Perù” degli autori Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo (Camisano Vicentino (Vicenza), Tipografia Ga.Bo, Marzo 2010).