SERENELLA MATTEUCCI – BADIA POLESINE – Rovigo
L’abitazione della famiglia Matteucci è ricca di opere d’arte, anzi è un’opera d’arte a tutto tondo. Ci sono quadri, maschere, sculture, mobili artistici e in tutto con un cromatismo fantasioso, brillante.
Serenella e il fratello Mario ci ricevono con l’accoglienza propria del brio artistico e seduti ad uno splendido tavolo, chiediamo a Serenella di raccontarci la sua vita. “Sono nata a Napoli nell’ottobre del ‘46. Mio padre Raffaello, figlio di Antonio Matteucci, era veneto, nato a Badia Polesine.
Sono nata a Napoli perché la mamma, Rosaria, era di lì, e siccome suo padre era un medico, preferirono farmi nascere “al sicuro con il nonno Rocco”.
Mio padre partì per Lima perché qui c’erano già due fratelli maggiori, Mario e Carlo. Quando io ebbi un anno, assieme alla mamma, le mie care sorelle e mio fratello Mario, raggiungemmo il papà. Fin dall’infanzia, mi ricordo della grande unione familiare, era bellissimo. Mio padre faceva lunghe chiacchierate raccontandoci dell’Italia ed è come se ci fossi vissuta anch’io. Tra l’altro abbiamo mantenuto sempre la comunicazione con tutti i nostri parenti in Italia, sia telefonicamente che con lunghe lettere.
Mi ricordo benissimo delle serate alpine; cantavamo Il Piave, il Capitano è ferito e molte altre canzoni. Mentre cantavamo, io piangevo, mi emozionavo moltissimo come anche gli altri; altre serate erano di poesia. Mio padre era stato capitano ed aveva combattuto nella guerra in Africa, congedandosi con il grado di Maggiore. Aveva frequentato la facoltà d medicina, fino all’ultimo anno e di subito cambió idea e dopo un paio d’anni si laureó in Scienze Economiche e politiche .
Da piccola mi piaceva molto l’idea dell’Italia, ma mio padre ci faceva vedere tutti i lati positivi del Perù, dove vivevamo. Lui andava spesso nella selva perché era direttore di una segheria con circa 120 dipendenti. L’azienda era la SINDICATO AMAZONICO. Inoltre lavorava anche in un’altra azienda, la HUACAMAYO, una piantagione di caffè, cacao ed allevamento di bestiame. Noi, abitavamo a Lima. La nostra famiglia era composta, oltre che da me, da Ida, Pirella, nata bel ’34, Mario nato nel ’35, Silvana nata nel ’37 e Fiorella nata nel ’41.
Papà si allontanava da casa per andare a lavorare e rimaneva fuori circa una settimana per poi ritornare a trascorrere alcuni giorni a casa con la famiglia. Non andava tutte le settimana, spesso rimaneva nel suo ufficio, in città, a Lima. Le aziende erano del fratello maggiore, Mario Matteucci, arrivato a Lima nel 1924. Sbarcato a Lima già con una discreta fortuna. Di professione ingegnere navale, fondatore del Cantiere marittimo e rappresentante del Registro Navale Italiano.
Ma ritornando a me, a nove anni ebbi un profondo dolore. Morì mio padre. Mi mancò moltissimo perché con lui andavo a scalare le montagne, mi raccontava storie emozionanti, era un uomo molto speciale ed è riuscito in poco tempo a darmi tantissimo. Lui ha fatto fiorire la nostra vita. Infatti, tutti molti dei miei lavori artistici sono basati sui suoi racconti. Tutte le sere mi accompagnava a letto e mi faceva addormentare raccontandomi delle favole speciali. Io ero la sua principessa.
Quando andavamo in giro per il Perù mi ricordo che diceva: “Questi nasoni sono molto in gamba, soprattutto in matematica ed è importante apprezzarli”.
Ho vissuto un’adolescenza triste, dopo la perdita di mio padre, il mondo mi è crollato addosso. Abbiamo cercato di reagire facendo tesoro dei suoi insegnamenti. Ho iniziato ad appassionarmi al mondo dell’arte. Frequentavo la scuola “Antonio Raimondi”, suonavo il piano, facevo balletto classico e mi piaceva moltissimo la pittura e il disegno. Vinsi parecchi concorsi scolastici. Finite le scuole superiori, ho iniziato a frequentare l’università: l’Istituto Femminile dell’Università Cattolica del Perù. La facoltà di lettere, però la mia passione rimaneva sempre la pittura. Mio cognato, maritò di Ida, Soren Visby, era molto appassionato di pittura, scultura e ceramica, così il sabato e domenica si dedicava questo suo hobby. Io non vedevo l’ora che arrivasse il fine settimana per andare da lui, sia per trovare mia nipote Solveig, ma soprattutto per impadronirmi delle tecniche dell’arte. Imparavo moltissimo da lui, guardandolo, mi insegnava i giochi di luce sull’opera e mi faceva giocare con l’arte. Devo molto a lui se oggi sono un’artista affermata ed anche ad altri straordinari maestri e molto riconosciuti che mi hanno anche loro appogiato.
Comunque devo ricordare anche la mia, ancora oggi amata mamma per avermi sempre appoggiato nelle scelte e soprattutto mio fratello Mario. Quando arrivò dal suo viaggio in Europa, nel ’65, io avevo quasi 18 anni e lui, un giorno, senza dirmi niente, prese due miei quadri e li portò al concorso BELEN DE OSMA. Potete immaginare la sorpresa, quando mi comunicarono che avevo vinto il diploma D’onore. Gli altri partecipanti erano artisti “veri”, provenienti dalla scuola di Belle Arti di Lima Juan Manuel Ugarte Elespuru. Il presidente della giuria era il Direttore. Quando la mamma seppe della mia vittoria, invitò il Direttore a casa per chiedergli se valeva la pena iscrivermi alla scuola di Belle Arti. Lui rispose di no. Disse che avevo già affinato le mie tecniche personali e la scuola mi avrebbe solo danneggiato. Sempre secondo il suo consiglio, dovevo proseguire con le mi competenze, che erano già ben delineate.
Per me la pittura era vita. Non riuscivo a farne a meno. Dovevo dipingere tutto il giorno e siccome l’acquisto dei materiali era molto costoso, iniziai ad usare le terre mescolate con la chiara d’uovo, lo zinco e la ceralacca. Facevo molte mescole, usavo anche la cartapesta. I materiali costavano poco e potevo lavorare continuamente, senza fermarmi. Dopo un anno dal suo arrivo, Mario, mio fratello, mi comperò un’automobile ed anche i colori “veri” per dipingere. Per me è stato come un secondo padre.
Dai 23 anni ho iniziato ad andare in Italia. L’ho visitata otto volte per circa venti giorni, ogni viaggio, e sono riuscita a vederla quasi tutta.
Venendo ai giorni nostri vorrei spiegare qualche mia sensazione che metto nelle opere. Lavoro molto sull’unità nella diversità. Esprimo il mio modo di sentire. Ritengo che le persone siano sparse nel mondo, ma facciano parte di un tuttuno. L’arte è il modo principale per risvegliare la sensibilità del mio essere, la mia interiorità. L’io, che alla fine è uno solo. L’arte fa svegliare la sensibilità verso la natura e verso se stesso. Tutto è dentro Dio e Dio è dentro tutto. L’ispirazione nasce quando vedo qualsiasi cosa, una scena ad esempio e dopo un po’ ho il pennello in mano.
Mi esprimo anche con le maschere. Ho iniziato nel ’96 dopo essere stata a Venezia. È ironicamente divertente, chiaramente la maschera che tutti indossiamo, mi piace metterla per poterla togliere. Ora ho iniziato a lavorare sul cinismo, sui valori che la maschera rappresenta. mi appassiona anche la scultura, lavoro con l’argilla.
Vorrei trasmettere un messaggio all’umanità che, secondo me, è artista e creatrice, tutti abbiamo la capacità intrinseca di creare e consiglio che ciascuno si dia un’opportunità di scoprire un campo dell’arte, nei modi e nei tempi che ritiene.
Durante la mia vita, fin’ora, mi sono sposata ed ho avuto due figli: Raffaello di 39 anni ed Alessandra di 35. Tuttora vivo con il mio secondo marito Alejandro Graña.
MARIO MATTEUCCI – Tripoli/Rovigo
Un uomo dallo sguardo penetrante e gli occhi da buono. Ha trascorso una vita avventurosa in giro per il mondo, ma senza mai dimenticare i valori e gli affetti della sua grande famiglia.
“Sono nato a Tripoli perché i miei genitori nel ’35 risiedevano lì. Ritornati in Italia abbiamo “attraversato” il terribile periodo della guerra dal ’35 al ’47. È stato un periodo indimenticabile perché il mio carattere è stato forgiato dalle sfaccettature del conflitto.
Arrivammo in Perù nel ’47, io avevo 12 anni e la cosa che mi ha impressionato di più fu la Coca Cola.
Lima era più moderna, visto che l’Italia a causa della guerra era distrutta, in realtà tutta l’Europa. Qui, invece, si sentiva l’influenza diretta dell’America del Nord. Ho visto per la prima volta il frigorifero, la cucina elettrica, la lavatrice e le automobili di lusso.
Andavo spesso, con mio padre, nella selva, dove lui lavorava, e così ebbi modo di conoscere bene, a fondo la bellissima natura di questo Paese. La nuova Patria.
Ho studiato alla Scuola Italiana Antonio Raimondi per poi proseguire all’università frequentando Ingegneria Agraria. Purtroppo quando mio padre morì dovetti andare subito a lavorare.
Venni assunto, come impiegato, in una ditta italiana. Facevo l’amministratore in una impresa di legname. Poi diventai socio di un’azienda di macchinari (trattori).
Sostenevo economicamente la famiglia, come ha detto precedentemente mia sorella Serenella Matteucci. Grazie al mio lavoro, iniziai a viaggiare per il Perù. Il Paese mi sembrava molto libero, tranquillo e pieno di grandi spazi. Infatti, da quel che mi ricordo, negli anni ’50 il Perù era socialmente tranquillo, viaggiavo senza correre rischi.
Appena ho potuto sono ritornato in Italia per visitare il “mio Paese”, i miei parenti. Ho iniziato a guardarmi attorno nella “Nova Italia” ho avuto una sensazione incredibile. Avevo lasciato un paese distrutto ed ora davanti ai miei occhi c’era un paese nuovo, moderno, pulito, ricostruito. In pochi anni. Soprattutto allegro e ricco. Ci sono rimasto per un anno e mezzo e poi ho girato l’Europa.
Nel ’65 sono rientrato in Perù. Avevo un’impresa di salvataggi marini. In poche parole quando una nave affondava io andavo a recuperarla. Ho guadagnato molto bene.
Mi sono anche realizzato negli affetti ed ho due figli: Hania e Mario.
Tratto dal libro “Destinazione Perù” degli autori Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo (Camisano Vicentino (Vicenza), Tipografia Ga.Bo, Marzo 2010).