Luciana Pelletosta – Padova
Luciana Pelletosta, una signora che sprizza simpatia e gioia di vivere appena la si incontra. Ha una splendida famiglia e ci racconta la sua esperienza. “Sono partita alla fine del ‘69. In Italia i cosidetti sessantottini facevano manifestazioni e “si agitavano” però io mi ricordo di una Milano, in quel tempo abitavo lì, bellissima, divertente senza i pericoli che esistono adesso e senza nessun extracomunitario, adesso é pericoloso andare in giro la notte da soli.
Sono partita dall’Italia perché avevano proposto a mio marito, Giuseppe Di Francesco, di andare a lavorare in Perù con un contratto della Comit, al prestigioso Banco de Credito del Perù, dove la Comit era azionista e, dopo le innumerevoli e comprensibili indecisioni, accettammo. Sinceramente avevamo un certo timore di buttarci all’avventura e trasferirci in questo Paese, per noi sconosciuto, lontano e forse per le nostre menti giovanili un po’ magico.
Quello che conoscevamo del Perù era solo la famosa frase: vale un Perù, a cui ci si riferiva per esprimere o riconoscere qualche cosa di molto valore. Ci buttammo letteralmente allo desconocido.
Alla fine, comunque, non mi feci troppe domande, pensavo di non trovare nulla, tanto che mi comperai un centinaio di calze di nylon perché pensavo di non trovarle. Mi manteneva eccitata la curiosità. Quando arrivai, il contrasto con il bel Veneto verde, pulito, ordinato era enorme. Il percorso dall’Aeroporto per raggiungere il nostro Hotel fu una cosa allucinante, vedevo solo baracche di una povertà estrema e come una bambina mi misi a piangere pensando dove mi aveva portato il mio maritino. Arrivati nel centro di Lima, mi resi conto che non tutto era miseria e sporcizia c’era anche una certa parvenza di civiltà. C’erano piazze, chiese antiche, gente che andava e veniva e il mio cuore si aprì. Dovemmo preparare i permessi, le vaccinazioni, i passaporti, le pratiche furono abbastanza veloci perché mio marito aveva un contratto di lavoro.
L´accoglienza fu piacevole e affettuosa, certo all’inizio ci muovevamo solamente “con il giro degli italiani” che lavoravano nelle varie imprese come la Pirelli, la Fiat, ecc…
Dopo poco tempo frequentammo anche i peruviani che si dimostrarono molto accoglienti e pronti ad aiutare. Loro ammiravano molto tutto quello che era straniero e noi lo eravamo.
Mio marito fece una bellissima carriera e a lui piacque molto il Perù; però ho visto più di una volta scendergli una lacrimuccia quando guardavamo la Rai e si vedevano le nostre belle città, i nostri prodotti alimentari tipici: evidentemente sentiva una straziante nostalgia. Sognava di tornare prima o poi in Italia e invece è morto proprio qui e non nella sua Patria.
Non ho comunque mai dimenticato il mio essere veneta. Io il mio Veneto lo vivo attraverso quello che sento, che tocco. Come ad esempio la cucina che è buonissima, i valori acquisiti dalla mia gente di Padova e a volte attraverso le canzoni alpine.
Arrivata a questo punto della mia vita, guardandomi indietro, la rifarei solamente perché tutto quello che porta un cambiamento dà anche dei valori e delle conoscenze alternative. Non so se la farei fare ai miei figli, perché é una decisione che dovrebbero prendere solo loro. Se potessi, tornerei a vivere nel Veneto, mi piacerebbe Treviso, città elegante e interessante e nella mia città natale, Padova.
Tratto dal libro “Destinazione Perù” degli autori Flavia Colle e Aldo Rozzi Marin, pubblicazione promossa dalla Regione del Veneto, Assessorato Flussi Migratori e realizzata dall’Associazione Veneti nel Mondo (Camisano Vicentino (Vicenza), Tipografia Ga.Bo, Marzo 2010).